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Confusione. Sensazione che i molti sostenitori di Werner Herzog, anche i più accaniti, potrebbero avvertire calato il sipario sulla sua ultima opera. Il cattivo tenente. Ultima chiamata New Orleans è un prodotto decisamente anomalo per molteplici aspetti, non ultima la strategia, discutibile, attraverso la quale è stato pubblicizzato e spacciato. Tralasciando per un attimo la questione ampiamente sviscerata del senso/significato di un rifacimento o remake o reinterpretazione che dir si voglia della pellicola di Abel Ferrara –bagarre completamente anodina – ciò che veramente preme è riconsiderare il film nella sua specificità dal punto di vista squisitamente estetico. Azzeriamo perciò l’antesignano: via qualsiasi tentativo di parallelo con una delle migliori realizzazioni del regista italoamericano, dimentichiamoci perfino il titolo e immergiamoci nella lugubre e limacciosa atmosfera di una New Orleans post Katrina.
La confusione perdura. Ripercorriamo mnemonicamente tutti i passaggi della pellicola e i conti non tornano. Ingiusto, e poco lusinghiero, sarebbe condannare il regista teutonico, di cui non mettiamo certo in discussione la comprovata statura autoriale, per aver preso in considerazione una sceneggiatura di per sé insipida. Dispiace piuttosto vederlo smarrito in una materia forse non congeniale. La piattezza di questo poliziesco – noir? – contagia purtroppo tutti i livelli del processo creativo e non bastano due inquadrature zoologiche di iguane e alligatori a rendere conto della presenza di Herzog alla regia. Se l’ambientazione sudicia e maleodorante di una città devastata dalla furia degli elementi rispecchia l’anima sporca e ributtante del protagonista Nicolas Cage, essa si smarrisce poi nei meandri di una trama edulcorata e nelle vicissitudini di personaggi trascurabili.
In effetti, quanto è veramente cattivo il tenente Terence Mc Donagh? Certo, sniffa in continuazione, assume farmaci come zigulì, quasi soffoca una donna anziana per raggiungere i propri scopi ed infine copula in mezzo alla strada con una pulzella non esattamente ciellina. Tuttavia questi episodi non si inseriscono in un crescendo narrativo, rimangono isolati e arbitrari, così come gratuito è l’inspiegabile carosello di “buone notizie” che risolvono in un batter d’occhio tutte le magagne nelle quali il nostro prode si era invischiato. Che sia un voluto ribaltamento dal sapore beffardo convince poco, sembra piuttosto il risultato di una scrittura deficitaria, tanto più che il finale fintamente lieto, con ricostituzione del nucleo familiare, fidanzata redenta e incinta (Eva Mendes) e avanzamento di grado manca di incisività. Probabilmente la conclusione positiva della parabola del “cattivo” poliziotto avrebbe funzionato se non fosse stato così irrimediabilmente mediocre. Proprio l’assenza di quell’ambizione e di quel coraggio che ha spinto Werner Herzog a sfidare i limiti tecnici che la natura impone con un cinema romantico – nella prospettiva dell’uomo di fronte al sublime – regalandoci titoli preziosi, (il recente e compiuto L’Alba della libertà ne è testimonianza) impoverisce questa sua nuova incursione nel cinema di finzione.
Il periodo ipotetico ha contraddistinto la disamina del film, evidenziando speranze e aspettative per nulla soddisfatte. Lo scomodo raffronto con Il cattivo tenente interpretato da Harvey Keitel incombe, ma, imperterriti, lo ricacciamo nell’antro della memoria dal quale ha fatto capolino. L’unico, flebile, legame tra i due lavori sussiste unicamente nell’omonimia del titolo.
Ultima annotazione concernente la recitazione. Dispiace infierire sulla performance di un attore come Nicholas Cage che, in tempi non sospetti, dava sfoggio di qualità indubbie (indimenticabile in Al di là della vita). Ma il florilegio di mossette, tic e smorfie di vario genere rendono la sua prova francamente indifendibile. Che la sua carriera abbia preso una china pericolosa è sotto gli occhi di tutti, impetriamo il soccorso di qualche buon’anima che sappia riportarlo in carreggiata!
VOTO:2/5
Articolo del
16/09/2009 -
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