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Non sono un feticista di Jackson, nè tantomeno un fan last minute che lo ha eletto post mortem a proprio dio. Mi definisco più semplicemente un amatore, uno che ha ascoltato i suoi dischi principali, uno che ha visto Moonwalker, il Live a Bucarest e la dannata intervista Living With Michael Jackson. Uno che ha letto una sua biografia postuma e che ha pensato di chiudere il cerchio vedendosi al cinema questo This Is It.
Dove sta il senso nel sorbirsi un’ora e tre quarti di sfacciata operazione commerciale cucita con ritagli di backstage che in condizioni normali non sarebbero stati buoni nemmeno per degli extra su dvd? Apparentemente da nessuna parte, ma tutte le persone che si sono prodigate in applausi (e anche lacrime) prima e dopo la visione, sembrano pensarla diversamente. Dopo i trailer iniziali, tutti zitti. E’ il momento del re.
La curiosità morbosa che spinge lo spettatore comune è una sola: vediamo com’era ridotto Jacko poco prima di morire. Vediamo se indossava davvero una parrucca, se poteva ancora reggersi in piedi dopo tutte le scorpacciate di farmaci, se era davvero lui o il suo sosia col braccio bionico. Beh, l’impressione è che Michael fosse nella sua solita forma seppur visibilmente dimagrito, pronto al debutto per quei cinquanta concerti londinesi che l’avrebbero dovuto rilanciare popolarmente ed economicamente. Il pregio di una pellicola come questa, priva a prima vista di una qualsiasi idea artistico-cinematografica, è appunto quello di essere “vergine”. Backstage, puro e semplice. L’immagine del cantante ballerino non è deformata da visioni soggettive, è così com’era. Sul palco, con i ballerini. Con le giacche di lustrini, col calzino bianco, ma stavolta senza pantaloni sopra la caviglia. Del resto quale celebrazione postuma alternativa ci sarebbe potuta essere? Un filmaccio sulla sua vita, con un sosia ballerino da quattro soldi pronto a scimmiottare un paio di moonwalk e qualche urletto? Ma per piacere, meglio così. Già il film sulla vita di Bruce Lee ci è bastato. L’uomo che alla stregua di Elvis si autoproclamò The King Of Pop, sia in vita che in morte ha sempre diviso e stupito. Come divide e stupisce questa pellicola, che è arduo definire film o documentario. Più semplicemente può essere considerata un palliativo per chi attendeva da anni di vederlo nuovamente sul palco a capitanare schiere di ballerini sincronizzati al millesimo. Ciò che sarebbe potuto essere ma non sarà mai. Il pubblico più o meno adepto lo apprezzerà di certo, non curandosi di abboccare all’amo dei produttori sfruttatori di immagine, perchè tutti almeno una volta nella vita ci siamo esaltati sentendo l’assolo di chitarra di Beat It, e magari qualcuno di noi ha pure provato ad emulare il moonwalk, coadiuvato da un paio di video dimostrativi reperiti su YouTube (lo ammetto, ho raccolto scarsi risultati ma ci ho provato).
Voglio andare al di là della pura operazione economica. Perchè ogni film lo è. Ogni pellicola viene girata per far soldi, saremmo degli illusi a pensare il contrario. Voglio trovare il senso a questo film, voglio trovare il lato artistico. Voglio farlo perchè anche negli stralci di prove emerge tutto il valore di chi, si dice, ha salvato l’industria discografica dalla crisi. Tutta la passione, l’energia, la meticolosità, la precisione maniacale emergono da questi video rubati all’oblio, che paradossalmente sono giunti alla ribalta con la morte del protagonista. Ci mangiamo le dita, chissà come sarebbe potuto essere alla 02 Arena. Chissà se ce l’avrebbe fatta, chissà che si sarebbe inventato. Non lo potremo mai sapere, non ci resta che accontentarci di questi scarti, che il destino ha trasformato in prelibatezze.
Voto cinematograficamente parlando: 1,5/5 Voto col cuore da fan: 5/5
And This Is It, questo è quanto.
Articolo del
30/10/2009 -
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