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Michael Haneke
Il nastro bianco (Das Weiße Band)
Drammatico, 144' - Austria, Germania, Francia
2009
X-Filme Creative Pool, Les Films du Losange, Wega Film; Lucky Red
di
Beatrice De Sanctis
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«Quando eravate piccoli a volte vostra madre vi legava un nastro bianco fra i capelli o al braccio. Il suo colore bianco doveva essere per voi monito di innocenza e purezza». Il Nastro Bianco è simbolo e titolo del film meritatamente vincitore della Palma d’oro al 62esimo Festival di Cannes. Prende avvio quando la tranquillità di un villaggio protestante della Germania del 1913 viene sconvolta da un filo resistente ma quasi invisibile: teso lungo il percorso del cavallo del medico locale ne provoca la caduta. Nessuno sa chi l’abbia legato lì né chi l’abbia poi tolto. Ma ogni abitante diviene presto cosciente che quello è solo il primo di una serie di eventi scabrosi. Il regista Michael Haneke non vuole svelarne il mistero ma analizzare una sorta di disumanizzazione dei rapporti umani che va oltre un semplice parallelismo con i prodromi del Nazismo.
Una regia pulita e sapiente, misurata ma costantemente efficace, ritrae la stratificata società patriarcale del villaggio tedesco nei rapporti delicati tra baroni e braccianti ma, soprattutto, in quelli all’interno delle singole famiglie,tra mogli e mariti, tra genitori e figli. Ruoli da rispettare, rituali e regole creano una morale puramente imposta dagli adulti ai bambini, così da prendere le sembianze di perbenismo e solo apparente rispettabilità. L’unica vera innocenza che traspare pare essere attribuita al maestro trentenne (anche voce narrante) e alla sua amata Eva, giovane bambinaia.
Nel connubio tra vita e morte che pervade il film si insinuano la violenza e l’omertà, rese omogenee dalla scelta di un bianco e nero poco contrastato ma stemperato da una tenue scala di grigi. Lo sguardo dello spettatore si abitua all’oscurità e ai salti netti tra una scena e l’altra, mentre l’inquadratura è ferma a riprendere i movimenti degli attori o ruota vorticosamente accompagnando ad esempio le danze. Lo sguardo del regista riesce dunque a enfatizzare i momenti o a renderli intensi nell’immobilità; a questo punto gesti solo ascoltati si fanno reali nella mente dello spettatore. Un silenzio assordante accompagna sia i titoli di testa che quelli di coda, ed in esso è racchiuso tutto il peso di una storia mirabilmente raccontata.
VOTO: 4,5/5
Articolo del
09/11/2009 -
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