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Brüno, reporter omosessuale austriaco, dopo esser stato licenziato dall’emittente televisiva cerca fortuna su suolo americano, intenzionato a divenire la più grande star gay dopo Schwarzenegger. Seguiranno stravaganti interviste, irruzioni grottesche nelle sfilate, conversioni sessuali e nefandezze di ogni sorta.
Evidentemente convinto che non ne avessimo già avuto abbastanza col tremendo Borat, Baron Cohen sceglie di percorrere la stessa strada della precedente pellicola, confezionando un mockumentary avente stavolta oggetto il mondo della moda, vestendo gli eccessivi panni di un ipotetico modello omosessuale. Se due anni fa il nobile intento (ma di nobile rimase solo quello) fu lo smascherare vizi e difetti della civiltà occidentale, stavolta non è ben chiaro dove l’autore voglia andare a parare. Critica al mondo della moda o semplice cumulo di gag fini a loro stesse in tutta la loro rozzezza e stupidità possibile? Solitamente un buon comico è in realtà una persona con cultura e sensibilità particolarmente spiccate, e non sto qua a mettere in dubbio che Baron Cohen abbia queste qualità. Il problema è che Brüno non fa emergere alcuna di queste presunte doti dell’ideatore, finendo per essere un’ora e un quarto di spezzoni slegati e sconclusionati, conditi di moine e piume di struzzo che estremizzano certi stereotipi del mondo omosessuale, generando molte perplessità riguardanti il dubbio gusto dell’opera. Si sprecano gli ammiccamenti, le allusioni esplicite, gli amplessi simulati, i primi piani di membri maschili veri (...) e finti. Situazioni riciclate ed amplificate da Borat, ma che stavolta evidenziano la totale mancanza di un’idea alla base dell’opera stessa.
Chi scrive ha odiato il precedente lungometraggio del comico inglese, ma alla luce di questa sua ennesima “fatica” sarebbe quasi disposto a rivalutarlo in diversa ottica, salvando il salvabile, salvabile irrintracciabile in questo immondezzaio di volgarità e stupidità spacciate come finezze. In questo periodo di rivalutazioni e ribaltamenti d’ottica, c’è chi difende l’operato di Baron Cohen come il frutto della mente di un autore abilitato ad essere razzista, omofobo, misogino e chi più ne ha più ne metta solo in quanto mente illuminata che sa far riflettere usando il ribaltamento e l’eccesso come mezzi espressivi. Alla luce dei prodotti finali sfacciatamente volgari e sgradevoli viene il dubbio che noi spettatori non siamo ancora pronti per una comicità di questo tipo o più probabilmente l’autore abbia perso il senso della misura. Meglio che Baron Cohen torni a lavorare per altri registi e farsi apprezzare come accadde per il burtoniano Sweeney Todd, ove le indubbie capacità attoriali hanno avuto modo di emergere.
Un personaggio del film, guardando un’intervista realizzata dal protagonista, commenta così: “La più grande stron***a che io abbia mai visto”. Ecco.
VOTO: 0/5
Articolo del
10/11/2009 -
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