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'Il ritorno' appartiene al genere del film d'autore, letterario nello stile e nei tempi, costruito con ambientazioni povere, volto alla ricerca interiore più che allo spettacolo; un genere amato o odiato, spesso a priori, dai fautori rispettivamente del cinema come 'arte' o come 'industria del divertimento'. Ma per capire il perché del successo unanime che il film ha riscosso a Venezia (dove ha vinto il 'Leone d'oro' e il premio per la migliore opera prima) conviene non entrare nemmeno nella polemica sul genere. 'Il ritorno' è un film importante non per il genere al quale l'autore si iscrive (il cinema alla Antonioni, alla Tarkovski ecc., sublime per gli uni, “palloso” per altri) ma perché il regista Zvjagintsev usa, e bene, gli strumenti del genere per costruire sullo schermo situazioni che parlano (possono parlare) alla coscienza di ciascuno. Questioni universali, viste con gli occhi di due fratelli (uno sulla soglia e l'altro un passo dentro all'adolescenza) che si trovano improvvisamente un nodo da sciogliere: chi è il padre? È una domanda semplice quella che i due si pongono (soprattutto Ivan, il più piccolo e più disturbato nel rapporto con la madre) davanti quell'uomo che torna a casa dopo tanti anni (una specie di Ulisse, ma senza una guerra di Troia né un’Odissea da raccontare) e del quale conoscevano solo una vecchia foto. Ma se la domanda è semplice, sono tanti i suoi significati, espliciti e impliciti: che vuol dire per un uomo la figura paterna, dal confronto con la quale si è formata una parte così importante del vissuto di ciascuno di noi? perché il padre punisce? e perché premia? a che titolo? bisogna perdere il padre per riconoscerlo come tale? E poi, sullo sfondo: qual è l’origine di ciascuno di noi, ciò da cui nasciamo? che rapporto c’è fra questa origine e il nostro destino? La scelta del regista è quella di porre (o accennare) molte domande ma dare poche risposte, lasciando che la storia scorra senza sciogliere il nodo, risolvendola infine con un'interruzione definitiva che proietta i ragazzi verso l'esistenza liberi da un rapporto infelice. O forse la figura del padre severo, che punisce e che comanda senza spiegare mai, senza introdurre a un motivo più grande, è già transitata nella loro esistenza, giace nel profondo del loro vissuto ed è pronta a riemergere lungo la strada del loro ritorno a casa.
Articolo del
24/09/2003 -
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