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Nella periferia operaia di Amburgo, in un vecchio e mal messo capannone, sorge il Soul Kitchen, ristorante gestito con passione dal greco-tedesco Zinos. La cucina proposta non è certo di quelle raffinate, ma sembra soddisfare gli affezionati clienti. La vita di Zinos invece è un turbine di vicissitudini: la sua ragazza Nadine, corrispondente di un importante giornale, viene mandata per lavoro a Shangai, il Soul Kitchen sta cambiando pelle e clientela in seguito all’assunzione del nuovo cuoco Shayn che propone piatti di alto livello ma che inizialmente faticano a conquistare la clientela, mentre il fratello di Zinos esce dal carcere con libertà condizionata, ma per restare fuori ha bisogno di un lavoro. Cosi Zinos decide di raggiungere Nadine a Shangai e di affidare la gestione del ristorante al fratello, ma entrambe le decisioni non si rileveranno azzeccate. Le pressioni subite dal fisco, dall’istituto di igiene e da un lancinante dolore di schiena completano il quadro disastroso della vita di Zinos. Fino a che la fortuna non decide di intervenire...
Dotato di assoluto spessore artistico, il regista Fatih Akin, che ha diretto film importanti come La sposa turca nel 2004 e Ai confini del paradiso nel 2007, premiato a Cannes per la migliore sceneggiatura, stavolta si confronta con una commedia corale, ispirata da una sua esperienza personale (il ristorante del film è un luogo, la “Taverna greca”, realmente frequentata per anni) e il risultato è più che apprezzabile. Il film si mantiene in costante equilibrio tra l’imminente tragedia degli eventi e la loro esilarante soluzione; si mettono a bollire insieme (per usare metafora che è in tema) in quel pentolone del Soul Kitchen, situazioni diverse e disparate che trovano un comune denominatore nel gioco di squadra e nel voler difendere con i denti quello che “non si può mettere in vendita”. E dunque in quel pentolone il regista è abile a “cuocere” insieme storie di emarginazione, come quella dello splendido personaggio Socrates, costruttore di barche che non avrà mai i soldi per pagare l’affitto del magazzino dove vive, o storie di ragazzi del quartiere che cercano e trovano nel Soul Kitchen un luogo per fare musica, o storie di speculazione edilizia, che sempre più rapidamente priva le città dei loro più significativi spazi sociali per trasformarli in moderni e anonimi quartieri commerciali.
Attori credibili ed intensi, riprese in esterno che poco si soffermano sul centro turistico o commerciale della città e molto sui sobborghi operai, e che svelano l’amore sentito e viscerale del regista per quella Amburgo che probabilmente a breve non ci sarà più. Colonna sonora splendida, anch’essa frullata in un miscuglio decisamente apprezzabile di generi che vanno dal funky al soul con pezzi dei Kool & The Gang, Ruth Brown, Quincy Jones, Sam Cooke e molti altri. Mescolate il tutto, ed il risultato è il Soul Kitchen, cucina che ha anima vera, e si sente. E se, come ripete il cuoco Shayn, “il viaggiatore non ha ancora raggiunto la destinazione finale”, speriamo che anche Fatih Akin non abbia ancora raggiunto nessuna destinazione e che prosegua sulla sua strada. Che è quella di proporre, al di là del genere che sceglie per raccontare, ottime storie che ci fa sempre piacere vedere, ascoltare e assaggiarne i sapori.
VOTO: 3,5/5
Articolo del
28/12/2009 -
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