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Riadattamento del bel film danese uscito nel 2004 in Italia con il titolo di Non desiderare la donna d’altri, l’ultima fatica del regista irlandese Jim Sheridan è la storia di due fratelli diametralmente opposti. Sam è un giovane capitano dei marines con già tre missioni di guerra alle spalle; è l’orgoglio, più che dichiarato, del padre, ex veterano della guerra in Vietnam. E’ un marito premuroso (ha sposato Grace, la fiamma conosciuta ai tempi del liceo) ed un padre affettuoso con le sue due bambine. Tommy invece è appena uscito di prigione, non ha famiglia, ed è pronto a riprendere la sua vita da sbandato. Se non fosse che l’elicottero di Sam viene colpito in Afganistan, lui viene fatto prigioniero dai talebani ed in patria viene dato per morto. Così Tommy si trova coinvolto in quel vuoto affettivo lasciato dal fratello nella sua famiglia, e questo, quando Sam tornerà, sarà causa di una seconda tragedia...
Ennesimo film sulla guerra e sulle conseguenze morali e psicologiche che questa lascia sui suoi eroi, possiamo subito dire che per valutarne lo spessore non si può non scomporre il film nei due piani distinti della narrazione. Da un lato, infatti, funziona molto bene il melodramma familiare; qui ancora una volta viene evidenziato come spesso la sola strada che un grande paese quale l’America offre alla sua middle class sia quella dell’arruolamento nell’esercito o nelle carriere sportive; con tutte le conseguenze che poi da questo derivano (ragazzi del tutto impreparati ad affrontare un dramma come la guerra). Dall’altro però non possiamo omettere di evidenziare come la parte narrativa di guerra, così come proposta, è inaccettabile. Perché di nuovo siamo di fronte ad una caratterizzazione dei “cattivi” in maniera del tutto gratuita: le torture e le atrocità psicologiche a cui vengono sottoposti i due marines catturati non hanno una spiegazione convincente, soprattutto in virtù del fatto che ogni guerra, ormai dovremmo averlo imparato, è di per sé atroce, e i buoni e i cattivi spesso si scambiano di ruolo.
Un plauso particolare va senza dubbio fatto agli attori: se Jake Gyllenhaal e Natalie Portman sono perfetti nei loro ruoli, che comunque richiedevano una certa misura proprio per reggere all’onda d’urto del dramma familiare, superlativo è Tobey Maguire, non a caso canditato al Golden Globe come migliore attore drammatico, che riesce al meglio ad interpretare quella paranoia, quella solitudine, quel distacco dagli altri, anche dai propri cari, perché chi è stato “laggiù” a combattere non potrà mai più essere compreso, e si porterà dentro per sempre quel senso di tragica barbarie che ogni guerra imprime su chi lo la combatte o la subisce.
Un film, dunque, riuscito a metà, che forse non aggiunge molto alla ormai consistente cinematografia che, nel raccontare le guerre, si interroga sugli effetti catastrofici che queste lasciano sui reduci; ed anzi qui la buona dose di retorica immessa nelle sfumature del racconto non lo fanno di certo entrare nell’olimpo dei migliori di questo genere. Ma vale la pena comunque vederlo, se non altro per la prova di recitazione degli attori che danno davvero una lezione di bravura superlativa.
VOTO: 2,5/5
Articolo del
07/01/2010 -
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