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Avatar di James Cameron, poteva sembrare il solito epic movie fantascientifico pieno di effetti speciali, dalla trama banale e dal risultato scadente. Invece non è andata così. Sarà perché Cameron ci ha messo veramente tanti anni a realizzarlo, avendolo concepito ben quindici anni fa, sarà che ha avuto a disposizione un team di esperti come quello della Weta Digital di Peter Jackson, sarà che ha scelto un cast adatto tra cui figura anche Sigourney Weaver. Sarà che non stiamo parlando di Titanic, che, a parte l’incasso mostruoso, non è assolutamente all’altezza di un film cult. Avatar, invece, lo è per tanti e diversi motivi. Spesso si legge che al di là degli effetti sia un film vuoto di significati, il che sembra decisamente riduttivo, anche solo dopo la prima ora di visione.
Innanzitutto siamo di fronte a un territorio 3D finora del tutto inesplorato, i livelli che raggiunge la tecnica in Avatar sono assolutamente encomiabili e, a giusta ragione, ha aperto la strada a tutto un nuovo tipo di cinema, a una nuova concezione dello spazio cinematografico della sala e dell’esperienza della visione in sé stessa; basti pensare a chi schiva i fumogeni in sala o cerca di prendere le luci della selva di Pandora, come se stessero effettivamente uscendo dallo schermo. Pandora è, appunto, il mondo in cui si svolge l’azione, un ecosistema che prende realmente vita sotto gli occhi degli spettatori, caratterizzato dai suoi rumori, dalle sue specie di fauna e flora, dai suoi agglomerati sociali. Ha un giorno e una notte che sembrano talmente reali che ci si dimentica che il tutto è stato ricostruito da un sogno, da una fantasia, quella di Cameron, di dare vita a un nuovo mondo che fosse plausibile. C’è riuscito appieno, dando la sensazione agli spettatori che, appena fuori dalla sala, si possa comprare un biglietto per Pandora e andare a scoprire le sue infinite meraviglie. E questa è già da sé una vittoria enorme.
Passando al lato narrativo possiamo dire che quella che, ai meno attenti, potrebbe sembrare una storia banale, non lo è per nulla. Cameron unisce diverse tematiche, dalla critica al mondo industrializzato che distrugge quotidianamente il pianeta Terra estirpando il verde e il blu che lo caratterizzano, a quella del trattamento del diverso, in questo caso rappresentato dagli alieni Na’vi, un diverso che improvvisamente diventa più umano e moralmente sano degli umani che sono andati a rubargli la sua terra, distruggendo la sua bellezza, che per gli alieni, attenzione, non è solo da preservare ma è sacra. Un ritorno alle origini per alcuni versi con il culto dei Na’vi per la grande madre di tutto, Eywa, che ricorda molto Eva; dall’altro un rovescio della medaglia dove, come già successo in District 9, ma sicuramente qui meglio riuscito, l’essere umano è una bestia senza regole né amor proprio, mentre l’alieno, che vive secondo costumi tribali ma che sicuramente non è tribale nella sua cultura, distanzia in umanità, empatia, comprensione dell’esistenza e del tutto, la rozza e imbestialita razza umana, che ci fa una figuraccia. Ma non sono solo queste le tematiche toccate da Avatar, il protagonista, Jake Sully, è un disabile, il suo handicap lo vive pienamente e giornalmente. La sua occasione? Quella di tornare a camminare e sentire la terra sotto i piedi. Da come è trattato questo argomento sembra che Cameron voglia suggerire che non bisogna mettere a freno la sperimentazione, possiamo leggere un incitamento alla ricerca, come a voler dire che se non ci si ferma di fronte a ciò che per molti è ritenuto impossibile, allora una speranza c’è per tutti. Lo stesso Cameron afferma: «Che cos’è un Avatar, comunque? L’Avatar è una incarnazione di uno degli dei Hindu che prende forma umana. In questo film ciò vuole significare che la tecnologia umana, nel futuro, sarà capace di inserire l’intelligenza umana all’interno di un corpo gestito in remoto, un corpo biologico».
Inoltre Cameron inserisce di soppiatto anche tematiche quasi politiche con il riscatto e la difesa del proprio territorio natio, dove si può leggere un collegamento a tante vicende che oggi sono sotto gli occhi di tutti nel mondo. I Na’vi non difendono il loro pianeta in maniera estrema, spinti alla guerra dagli umani, solo perché è il proprio territorio, ma perché loro lo vivono internamente e profondamente con un cavo biologico, un cordone ombelicale o una presa usb, che li collega all’intero mondo vivente così che possano viverne le esperienze, le sensazioni, le emozioni fino a comprenderne e accettarne in armonia tutte le sue fasi e meccanismi. Quella del network biologico-neurale tra i Na’vi e la natura è una delle idee più esaltanti di tutti gli elementi che Cameron ha inserito in questo film.
Avatar diventerà un film cult, ha dentro di sé elementi di Star Trek, Matrix, Blade Runner e molti altri. Ci riporta a un mondo che sì, è selvaggio e tribale, ma sembra così meraviglioso e ‘giusto’; Cameron è riuscito nella sua impresa e, una volta usciti dalla sala, l’unico desiderio è quello di rimettersi gli occhialini e tornare a immergersi in quel mondo così fantastico quanto estremamente e verosimilmente reale. Il pubblico sarà sicuramente felice di sapere che Cameron aveva in mente ben due sequel se il primo avesse avuto successo, e, visti i numeri del Box Office, sicuramente dovremo aspettarci almeno il primo di questi due, sperando che non ci vogliano altri dodici anni per realizzarlo.
VOTO: 5/5
Articolo del
23/01/2010 -
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