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Radu Mihaileanu
Il concerto (Le concert)
Commedia, durata: 120’- Francia
2009
Produzione: BIM, Castel Films, Les Productions du Trésor, Panache Productions; Distribuzione: BIM
di
Eleonora D'Aguanno
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La Russia che ci restituisce Radu Mihaileanu ne Il concerto è frutto di una rielaborazione di fastidiosi stereotipi. Altrimenti detto: «lo stereotipo può rendere la caratteristica di un’etnia, di un popolo o di una cultura, purché rimanga un cammeo o una stoccata ironica, come il famoso spirito da commerciante degli ebrei o l’isterismo da checca del direttore del Théâtre du Châtelet» (François Berléand). Quando invece lo stereotipo trascende in falsità e in un anacronismo, il film perde immediatamente la sua credibilità.
Ammetto di aver visto il film insieme ad una ragazza di Mosca, uscita dal cinema piuttosto indignata della descrizione che viene fatta del paese in cui ha vissuto fino a otto anni fa. Ho provato a eludere il suo punto di vista dalla mia analisi, ma mi è risultato non poco difficile. Quanto è plausibile che nel 2009 una cinquantina di cittadini russi abbiano bisogno di un visto falso per uscire dai confini del proprio paese? Che gli eccellenti musicisti estromessi dall’Orchestra del Bol'šoj dal vecchio regime (perché ebrei) si siano imbarbariti e ridotti a fare lavori umili? Che gli zingari si improvvisino falsari di fronte agli occhi di poliziotti impotenti? Fatti che potevano forse essere plausibili in una Russia pre-Perestroika.
Al contrario il gusto per il nostalgico non scade nel retorico, come il tentativo di riportare il Partito Comunista Francese ai suoi antichi fasti ha il gusto di una commedia amara. É ben accetta la farsa da slapstick commedy o da film di Totò e Peppino (vedi la sparatoria tra mafiosi nel bel mezzo della cena del matrimonio o gli zingari che creano colori e benevola confusione ogni volta che entrano in scena) e che insieme ad una giusta sospensione di incredulità rende accettabile che il Concerto di Čajkovskij sia così mirabilmente eseguito, nonostante la mancanza di prove.
La musica a chiusura del film è una catarsi lungamente attesa (con premesse fin troppo roboanti), un’esplosione emotiva che giustifica il tono patetico in cui man mano sono convogliati i personaggi, financo l’inseparabile violoncellista Sacha (Dmitri Nazarov). È un effetto placebo che incanta e quasi ipnotizza, cosicché oltre ai luoghi comuni passa in secondo piano il mistero che unisce il direttore d’orchestra Andreï Filipov (Aleksei Guskov) e la violinista Anne-Marie Jacquet (Mélanie Laurent) e forse per un po’ lasciamo da parte anche l’immensa lacuna che come sempre lascia il doppiaggio italiano, a maggior ragione qui dove si contrappongono due lingue che tra loro non si comprendono.
VOTO: 3/5
Articolo del
12/02/2010 -
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