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Crazy Heart è la storia di Bad Blake (Jeff Bridges), una ex star del Country in fase discendente, rassegnatosi a cantare in squallidi pub e bowling, senza neanche più la nostalgia per i tempi andati. Anche le speranze sembrano essersi assopite, come pure la voglia di comporre canzoni. Con discrezione e timidezza entra in scena Jean Craddock, una giovane giornalista (Maggie Gyllenhaal), madre di un bambino di quattro anni, la cui vicinanza risveglia i rimpianti malcelati di Bad per aver abbandonato un figlio da qualche parte a Nashville e trascurato la sua salute minacciata da alcol, fumo e da una vita vissuta al massimo. Nonostante gli sforzi la loro unione sarà impossibile, ma il desiderio di “ripulirsi” e di non lasciarsi vivere hanno iniziato il loro corso e la ex rock-star si risolleva.
Una sceneggiatura (tratta dall'omonimo romanzo di Thomas Cobb) scritta ad arte, in cui la complessità delle problematiche e dei sentimenti umani prendono corpo dalla vicenda in maniera naturale, senza stonature o forzature. Da una parte la madre che deve crescere un figlio da sola, che si concede un piccolissimo margine di errore, superato il quale non è più possibile tornare indietro, perché il rischio è troppo grande. Dall’altra il musicista che si vede superato dall’allievo (Colin Farrell è Tommy Sweet), dimenticato dalle nuove generazioni, esaurita (ma solo apparentemente o momentaneamente) la sua straordinaria vena poetica. Jeff Bridges presta la voce alle canzoni di T-Bone Burnett, che non a caso si è occupato anche della colonna sonora di Across The Universe, Walk The Line e Fratello, dove sei?.
La storia è semplice, senza sbavature, né eccessi di drammatizzazione e Jeff Bridges non lascia spazio alle banalità sui cantanti rock, ma ricrea un personaggio, che è innumerevoli personaggi. È Elvis Presley, è Johnny Cash, è Neil Young, un alcolizzato, un romantico, un solitario, un paroliere, un musicista, consapevole della sua caduta e incapace di risalire, ma mai presuntuoso, né rancoroso o rabbioso. La chitarra, le donne, il whisky, le sigarette non sono dei simboli, degli strumenti del mestiere, ma dei “compendi aerodinamici” del suo corpo: il bicchiere il prolungamento della mano, la sigaretta delle dita, la chitarra delle braccia, la donna dell’intero corpo. È un bellissimo corpo il suo, che il passare del tempo rende più volitivo, il bagaglio di esperienze ne ispessisce la pelle, le rughe danno maggiore profondità allo sguardo.
VOTO: 5/5
Articolo del
01/03/2010 -
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