Molti si chiedono se nella musica esista qualcosa di non ancora sperimentato, se i musicisti abbiano qualcosa da dire che nessuno dei precedenti abbia già proposto. Tutte costruzioni effimere della mente, complicate, intricate, che fanno perdere nei meandri dei pensieri allontanando dall’attività principale: quella del creare musica che abbia come scopo solo quello di divertire. Questo si è indotti a pensare all’ ascolto di ”Juice Water”, di Erica Quitzow, dal sapore fresco, impreciso, quasi improvvisato e impulsivo, privo di costruzioni ragionate che molti grandi successi richiedono. Suoni asimmetrici e beat elettronici (”Let Out All The Crazy”), impiego di vocoder e strumenti d’orchestra rivisti e riproposti in chiave moderna, voci sintetiche, pop, house, Gwen Stefani e la Fergie di “Love or Labels”, sono mescolati qui in un cocktail dal sapore forte ma confuso, fresco ma che stordisce, moderno si, ma fino a che punto non si sa. Prendendo spunto da grandi successi pop e da stilose icone del genere, sporcandosi le mani con i cult più commerciali, lanciando uno sguardo ai grandi del kraut e dell’elettronica, Erica Quitzow, compositrice, produttrice, cantante e cantautrice americana, offre trentotto minuti di puro svago, durante il quale l’alfabeto che mette in comunicazione i fashion frequentatori delle dancefloor è quello delle luci psichedeliche e dell’aria fumosa che confonde le certezze ma non leva splendore alle paillettes. Voci sintetiche per ”The Cut” ricordano che tempo fa i Kraftwerk hanno dato vita ad un genere che avrebbe spopolato ma diviso la schiera dei critici, che avrebbe trovato sostenitori e detrattori. Di ritmo più uniforme ma comunque asimmetrico, cattura nella sua bolla di sapone luccicante e leggera seppur non inconsistente ”More Keith Richards”, che con siparietti orchestrali stempera l’accecamento provocato da colori vivi e fosforescenti che i synth evocano; i coretti si lasciano andare a refrain semplici e quasi monotoni, la cui leggerezza ci proietta dinanzi l’immagini di una Brigitte Bardot plasticosa e vestita di tulle, immagine mantenuta viva ma movimentata dalla gradevole ”Talk To Me”, più fruibile e di sostanza rispetto le precedenti. Echi remoti di Shivaree e Natasha Bedingfield fanno la loro breve comparsa in ”Race Car” e ”Race Car2” facendosi da parte in ”Whatever”, in cui forte è l’influenza dell’ex No Doubt Gwen Stefani dei tempi di ”Hollaback Girl”. Un puzzle ben costruito e fashion victim risulta questo lavoro dell’americana Quitzow di cui si può dire solo ciò che non è: non abbiamo l’incisività dei Daft Punk, ma il divertimento è garantito, la plasticità dei suoni palpabile seppur biodegradabile. Piace per quel tanto che fa ballare, brilla finché dura l’oscurità di una notte festaiola.
Articolo del
14/05/2010 -
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