I Chemical Brothers che fanno l’amore con i Daft Punk. Lo fanno con passione, con dolcezza, con violenza. E il figlio che ne nasce è il sound elettronico e digitale dei napoletani Silicon Dust.
Un sound condensato nelle cinque tracce del loro primo disco, Lulin - che prende il nome dalla “cometa verde” che pochi mesi fa ha sfiorato la terra - completamente autoprodotto. Claudio Di Gennaro (Naro), Gianluca Spinelli (Spin) e Renato Brunelli (ReBr) hanno le spalle larghe frutto di poderosi ascolti in ambito techno/house/dance: lo si sente dalla molteplicità di influenze rintracciabili nei brani (i già citati Chemical Brothers e Daft Punk, Kraftwerk, Aphex Twin, Underworld, Air, The Prodigy, ma anche Pink Floyd e Velvet Underground). E, armati di PC, campionatori, tastiere e una miriade di effetti sonori, frullano il loro bagaglio in poco meno di mezz’ora di musica, che si ascolta tutta d’un fiato. Infatti, sia che si tratti della frenesia acida e ultratecnologica di Go Fast, che della accelerata dance di Fargard, quello che sorprende di più è la primordiale e incredibile energia sprigionata dal loro sound. Quando poi parte il ritmo vigoroso e isterico di Bad Child, tremano le finestre e quasi vengono giù i soffitti: è la traccia più riuscita del disco, ed è giusto che si trovi proprio nel cuore di Lulin. Dopo questa, in effetti, difficile riuscire a ripetersi, ed è quasi normale che l’industrial sound di Illogically appaia come l’episodio più debole del disco, sebbene sia anche quello più “ballabile” e propriamente techno (con il suo intrecciarsi e accavallarsi di strumenti e schegge musicali); infine, la solarità di Under Two Suns – a metà tra la colonna sonora di un videogame e la marcetta futurista – porta tutto ad altissimi livelli danzerecci.
Non solo tunz tunz, comunque: in questi cinque brani travolgenti non manca una forte sperimentazione, una evidente carica esplosiva, la costante e personale ricerca musicale. Roba potente, insomma.
Articolo del
08/04/2009 -
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