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Fedele alla linea, Isbn continua ad inanellare ottimi saggi che partono dalla cultura pop per scardinare visioni consolidate e/o stereotipate e per fornire chiavi interpretative della realtà del nostro tempo. “Rock The Casbah!” non fa eccezione. Già il sottotitolo, “I giovani musulmani e la cultura pop occidentale”, è da acquolina in bocca. Perché? Perché conferma quanto avevamo appena cominciato a intuire con l’ottimo “Heavy Metal in Baghdad”, dedicato alle disavventure della metal band irachena degli Acrassicauda (un dittatore, una guerra e il terrorismo di Al Qaeda non sono bruscolini), e cioè che in quella fascia che va dal Marocco al Pakistan, il cosiddetto “Mena” (acronimo di "Middle East and North Africa"), molto si sta muovendo, lentamente, con cautela, per non morire soffocato dalle spire dei regimi autoritari (quando non apertamente dittatoriali) della regione o dai fondamentalismi che vi si agitano.
La notizia è questa: i ragazzi di laggiù non sono tutti attratti da Al Qaeda e dalle sue varianti. Anzi, una parte crescente di essi si riconosce nella cultura metal, hard rock e hip hop, non imitata pedissequamente, ma ibridata sapientemente con le culture locali, dando vita a scene nazionali di indubbio interesse e spessore. Capaci, perfino, di superare storiche barriere di odio atavico: i metallari israeliani Orphaned Land, una band che è un nome assoluto nel metal odierno, sono fonte di ispirazione e oggetto di ammirazione da parte della scena metal egiziana. Questo significa una cosa sola, data l’avversione che gli Orphaned Land mostrano per l’insensata politica coloniale del loro governo (avere vinto una guerra nel 1948, chiamatela pure invasione, se volete, è un conto; difendersi dal terrorismo, ok; ma voler eliminare i Palestinesi perfino dalla Cisgiordania, no, come ha detto saggiamente Obama: e basta!): e cioè che attraverso la fratellanza creata dalla musica qui si sta costruendo un possibile futuro di pace e di libertà. Possibile, non probabile: potrebbero sempre vincere i fondamentalismi, le beghe e gli intrighi dei poteri corrotti, i colonialismi. Ma il libro di LeVine (che insegna all’Università della California, ma ha pure suonato come chitarrista con Mick Jagger, Chuck D e Michael Franti) contiene molto di più: la scoperta di contaminazioni inimmaginabili: come le muhajababes (e dire che le abbiamo sotto gli occhi pure in Italia), ragazze che portano il velo ma vestono alla moda occidentale.
La via per il futuro? Secondo LeVine sta nell’incontro tra comunità hip hop e metal con le frange islamiche più liberali, anche se non occidentalizzate: i sufisti o i giovani dei Fratelli Musulmani egiziani, per dire. Speriamo.
Articolo del
02/04/2010 -
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