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Diciamolo subito: questo è davvero un bel libro. Ma non è il libro che probabilmente vi aspettate. Non è un libro che analizza i testi di Giovanni Lindo Ferretti. Non è un libro che setaccia gli album di CCCP /CSI /PGR eccetera. È un libro che tenta di fare chiarezza. Nella vicenda umana e artistica – così controversa, così fuori dal coro, nel bene e nel male – del musicista forse più intellettuale tra i protagonisti degli anni 80 e 90 del rock italiano. E osa anche di più: restituire al lettore il profumo, le sensazioni, le emozioni che hanno segnato la frequentazione delle produzioni musicali di Ferretti e soci.
Impresa improba. Ma riuscita. Per di più, separando i fatti dalle opinioni, in modo davvero originale. La narrazione di vita e miracoli dell’ormai don Ferretti procede infatti su quattro piani che si intersecano fluidamente: divisa in piani quinquennali (come da desiderio dello stesso, in data 1984) l’opera del Lindo, ogni annata viene introdotta da una breve e wikipediana summa degli avvenimenti principali, cui segue la narrazione dei fatti, non solo musicali, ma anche biografici (senza mai cadere nel gossip), supportata da citazioni precise le cui fonti – giova ricordarlo – non sono tanto i testi delle canzoni – ma anche – quanto soprattutto comunicati stampa, allegati, note discografiche, dichiarazioni pubbliche, interviste, perfino recensioni, critiche musicali et similia; in mezzo, i ricordi di chi c’era, che finiscono per costituire un coro le cui voci – recita un nota finale – “sono state raccolte dagli autori […] durante dialoghi, incontri, interviste, cene, sere e notti. Per rispettare la volontà degli interlocutori, tutti i contributi sono presentati in forma semi-anonima”. Soluzione che all’inizio può infastidire. Ma quando se ne comprende la funzione, rivela tratti di genialità: un modo ingegnoso non solo di restituire l’aroma del tempo che fu e che annusò chi c’era perfino agli esordi (peraltro, data l’età, anch’io: per cui garantisco che le cose stavano proprio così come le leggerete, nella percezione del pubblico), ma anche di riportare testimonianze del vissuto di concerti, pettegolezzi discografici che sarebbero negati e smentiti da chiunque, ma che, come sa chi sta nel giro anche solo di sguincio, sono la verità vera. In questo modo gli autori non rinunciano all’analisi, non abdicano alla critica, non cedono all’agiografia sempre a rischio nelle biografie musicali e tanto più imbarazzante per tanti fans orfani del cantore di almeno due generazioni di “alternativi” (chiamiamoli così, con questo termine old fashion), ora che il Ferretti è passato armi e bagagli all’adorazione di Ratzinger, Santa Romana Apostolica Ecclesia, votando Berlusconi e – è l’ultima notizia – Lega Nord. Tutte scelte legittimissime, sia chiaro. Ma che gettano nello sconforto l’ex pubblico del Lindo che ne ricorda ancora le gesta nei più feroci centri sociali d’Italia. La soluzione del passaggio armi e bagagli alla parte avversa non è quella che i più continuano a sostenere (la “botta in testa”), ma quella che anche il sottoscritto sostiene da tempo (cosa che mi conforta non poco): Ferretti è sempre stato un credente, in senso lato, ma un credente. La motivazione che addiceva nel 1984 per il suo desiderio di “piani quinquennali” (“la stabilità”) in quella “Live in Pankow” contenuta nel primo Ep dal profetico titolo di “Ortodossia”, dice tutto: Ferretti è stato educato da piccolo in una Chiesa, quella cattolica (ha studiato dai salesiani); dopodichè ha aderito a una nuova Chiesa, il comunismo, nelle varianti di Lotta Continua, il punk, il Pci, il Pds. Quindi, come dice lui stesso, è tornato a casa. Ma in sostanza è il pubblico – siamo noi - ad averlo frainteso, a non aver capito che la sua era tutta una questione di fede. La cosa che lascia di più l’amaro in bocca, però, ancora una volta, è come la vicenda CSI si sia sgretolata dopo il meraviglioso primo posto in classifica di “Tabula Rasa Elettrificata”: la sensazione che stesse cambiando il mondo, almeno quello della musica italiana, la dimostrazione di geometrica potenza di “Forma e sostanza”. Tutto vanificato dallo scioglimento della band.
E vabbè. Gli alternativi non sanno proprio fare la rivoluzione, in fin dei conti.
Articolo del
17/04/2010 -
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