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Settima puntata della serie di interviste ispirate dal libro di Graham Jones Last Shop Standing – Whatever Happened To Record Shops? - vedi RECENSIONE - sulle condizioni in cui versano le rivendite di dischi che operano al di fuori delle grandi catene.
Intervista rilasciata da Marco di Radiation Records (Roma):
1. Da quanto tempo esiste il negozio?
M: Radiation Records esiste da quattro anni.
2. Quante persone ci lavorano?
M: Solo una gli dedica tutto il suo tempo, ma tra collaborazioni più stabili e altre più sporadiche andiamo da un minimo di tre a un massimo di cinque.
3. Com’è nata l’idea di aprire un negozio di dischi?
M: Io mi ci sono trovato dentro: in seguito a varie vicende di natura più personale, al mio lavoro precedente, alla piccola etichetta discografica ‘amatoriale’ che gestisco sin dai miei primi svogliati anni all’università, alla passione sì per la musica ma più specificamente per i dischi, la produzione degli stessi, tutto quello che ne ruota intorno e per tutto quell’immaginario che mi ha cambiato l’esistenza o che ne ha permeato la quasi totalità. Qualcosa che ha a che vedere col punk rock, col d.i.y. (“do it yourself”, N.d.R.), con un certo modo di fare arte e cultura. Non tutto si può spiegare, ma ci siamo capiti. Si tratta senz’altro di un sogno divenuto realtà, ma di certo, non mi è mai balenato nel cervello qualcosa tipo: “Ho trovato! Apro un bel negozio di dischi”. Questo pensiero non fa parte della mia generazione.
4. I rapporti con le case discografiche? Nel libro, Jones mette in evidenza che le major favoriscono le grandi catene (gli ipermercati) ai danni dei “pesci piccoli”, completamente trascurati. Confermate o smentite la sua asserzione?
M: Dunque, chiariamo una questione. Sono pochissimi i negozi di dischi “seri” in Italia che hanno qualche rapporto con le cosiddette “major”. Queste perché non solo è vero quel che dice Jones, ma perché proprio le major in Italia non hanno saputo fronteggiare in alcun modo i recenti cambiamenti del mercato: non lo capiscono, brancolano nel buio. E prima della crisi non è che avessero una percezione esatta di come stavano andando le cose. La distanza tra le major e i negozi è sempre stata maggiore in Italia che altrove, e a tutt’oggi le major italiane sono, paradossale ma vero, fuori mercato. Dal canto loro, le grandi catene giocano le loro carte sicure, da anni sempre le stesse, nell’attesa del giorno in cui dovranno inesorabilmente sostituire gli espositori di CD e DVD con quelli per qualche forno a microonde. Mi auguro che questo giorno arrivi presto.
5. Veniamo agli acquirenti di dischi: nel vostro negozio entrano più clienti “occasionali” o abituali? Sui guadagni incidono di più le spese dei primi o dei secondi?
M: I clienti abituali sono molti, ma ve ne sono anche tanti occasionali ma non del tutto ‘casuali’, cioè legati ad esempio ad altre attività connesse al negozio, o gravitanti intorno ad esso: concerti, tour, piccoli eventi di vario tipo.
6. Età media dei clienti? È vero che gli adolescenti si accontentano di file scaricati dalla Rete?
M: Noto un recentissimo, molto lieve, abbassamento dell’età media dei nostri clienti. Io suono in un gruppo molto seguito da un pubblico di giovanissimi, che spesso vedo ai concerti e poi in negozio dove mi trovo a conoscerli, a ‘crescerli’ almeno dal punto di vista del gusto musicale, il che mi diverte moltissimo. Nel complesso però, l’80% dei frequentatori di Radiation ha più di vent’anni, e ti direi che il 50% ne ha più di trenta. Non ne dedurrei che i più giovani si accontentano, però: questo è un ragionamento molto diffuso ma anche molto semplicistico. A mio parere il problema è più complesso, e la questione del downloading gratuito e della sua incidenza sulla crisi del mercato discografico in Italia ha connotati molto differenti rispetto all’estero. Noto spesso come tra i colleghi, tra i clienti, ma anche in riviste specializzate per mano di penne di tutto rispetto, si tenda a valutare il fenomeno locale secondo categorie di giudizio valide per altri mercati, il che induce spesso a considerazioni molto lontane della realtà. Quel che è certo è che non attaccherei i più giovani perche non frequentano i negozi di dischi: i giovani di questo paese non hanno un soldo in tasca, crescono con l’idea che non l’avranno probabilmente mai, ed effettivamente io stesso conosco pochissimi tra i miei coetanei che possano contare su un bilancio mensile che preveda anche l’acquisto di dischi, libri, biglietti per il cinema o i concerti. Ti assicuro che i negozi di dischi in Germania, in Svezia, e in Giappone sono pieni di ragazzi che comprano. Meno di un tempo forse, ma la situazione non è neanche paragonabile alla nostra. Finché il problema non verrà affrontato in quest’ottica, e soprattutto finché in questo paese permarrà l’attuale situazione economica generale, abbiamo poche speranze di vedere giovani nei negozi di dischi, e ne avremo sempre meno.
7. Scelta dei titoli da tenere in negozio e dei generi musicali trattati: è influenzata dai vostri gusti personali? Dalle recensioni di testate specializzate (quali?)? Prendete in considerazione le hit-parade? M: È influenzata dai nostri gusti, da quelli dei clienti e da moltissimi altri fattori tra i quali però, no, non annovererei le classifiche ufficiali. Riguardo alla stampa specializzata, io sono un avido lettore da quasi vent’anni della fanzine punk americana “Maximum Rock and Roll”, sostengo fermamente che qualunque avanguardia indie-rock (dai Sonic Youth ai Neurosis, dai R.E.M. ai Fucked Up) nasca o tragga ispirazione più o meno diretta dall’underground punk-hardcore, e sinceramente, dopo tutti questi anni, non saprei immaginarmi senza. Leggo con regolarità “Blow Up”, “Rumore” e il “Mucchio”, e ho scoperto da poco “Groove”, che trovo molto gradevole. Mi piacciono le nostre riviste specializzate, ci sono affezionato, mi hanno cresciuto e sono loro grato. Non posso non rimproverargli l’eccessiva italianità generale: la periodica copertina ammiccante e ruffiana, la mancanza di coraggio nelle scelte editoriali, l’articolone sul downloading libero e sull’ultima chissà quanto immaginaria rivoluzione digitale, le dinamiche clientelari da ‘casta’ nella scelta del materiale da recensire... e in generale, il manifesto disagio rispetto al proprio background e alla propria identità. Un male tristemente diffuso in certi ambienti negli ultimi anni.
7. Quali dischi avete venduto di più negli ultimi mesi?
M: Senza dubbio il CD/DVD Crollo Nervoso su Spittle Records, etichetta il cui lavoro certosino di recupero del tassello dimenticato della new wave nostrana di metà anni Ottanta è encomiabile non solo dal punto di vista strettamente storiografico, ma anche perché frutto di una passione sincera, che trasuda da ogni singola release, per quegli anni e per quell’immaginario. La ristampa che abbiamo realizzato sulla nostra label Gonna Puke Retro di Contropotere, Nessuna speranza nessuna paura in CD/LP, un vecchio classico di hardcore italiano evoluto della seconda metà degli anni Ottanta che ha venduto molto all’estero. La ristampa delle Raincoats, la compilation-manifesto dubstep 5 Years of Hyperdub, e poi Fuck Buttons, Joanna Newsom, Capputtini ‘I Lignu, Talibam!, Built To Spill, Silver Mt. Zion, Brian Jonestown Massacre... Attenzione però: raramente, oggi, una nuova uscita riesce a lambire i numeri dei grandi classici, soprattutto su tempi medio/lunghi. Si riduce ogni giorno di più l’intervallo che intercorre tra l’uscita di un disco e il momento in cui si trova al bivio tra il diventare un “classico” e sparire nel dimenticatoio. Il cliente lo guarda, lo rigira, ripassa mentalmente la recensione di “Blow Up” di qualche settimana prima, tentenna ancora un po’... poi lo rimette a posto e si compra Unknown Pleasures dei Joy Division. Come biasimarlo?
8. Le richieste più stravaganti ricevute?
M: Beh, tante. Ma recentemente sono più affascinato da quelle con l’introduzione tendente all’infinito. Quelle del tipo: “Buongiorno, salve, mi scusi, stavo cercando un disco uscito un paio d’anni fa, non so se trattate anche queste cose, però ecco, non si sa mai, è un disco di (genere di musica) di cui purtroppo non ricordo il titolo, ma ne avevo letto una recensione su (nome della testata) di, credo, sei mesi fa, forse sette? Quello con (artista) in copertina, si ricorda? Ecco, è da un po’ che non lo vedo in giro, ma mi chiedevo, non so se trattate anche queste cose...”. Dio mio, mi hai rubato cinque minuti della mia vita e non so ancora di che diavolo stai parlando!
9. Il disco, o i dischi, di cui mai avreste sperato di sbarazzarvi, che tra l’altro siete riusciti a vendere a un prezzo folle?
M: Abbiamo una frenetica attività on line, soprattutto attraverso e-Bay, il cui ben noto sistema delle aste fa sì che molti dischi vengano venduti a prezzi più alti di quello che ti aspetteresti. Ma moltissimi a prezzi più bassi, quindi alla fine i conti tornano sempre lì. In negozio, per contro, proviamo a tenere i prezzi più competitivi possibile anche con il più temibile dei concorrenti, il mercato on line: raramente, quindi, vendiamo dischi a prezzi ‘assurdi’, ma al contempo vendiamo molte rarità e dischi ‘da collezione’. Anzi, registro un rinnovato interesse per la media rarità in vinile, anche da parte di un pubblico di natura differente da quello collezionistico ‘classico’. Questa settimana ho venduto un bellissimo, e relativamente costoso, originale di Daydream Nation dei Sonic Youth a una ragazzina molto giovane che aveva tutta l’aria di star comprando il primo disco della sua vita. Anche questo è forse un effetto collaterale positivo del downloading: quello di conferire un fascino “inedito” al pezzo da collezione. Che dire, speriamo bene.
10. Internet: quanto ha inciso sui ricavi del negozio? Il Web va demonizzato? Lo utilizzate per reperire dischi, anche per le vostre collezioni personali? Vendete dischi on line?
M: Io credo che nessuno demonizzi tout court You Tube (che mi ha insegnato a fare il nodo della cravatta, ad aprire le ostriche col coltello, e tante altre cose impensabili!), Wikipedia o Skype. Internet è male o bene a seconda dell’uso che se ne fa. Internet, in sé, non è niente. Io non amo il social networking, mi annoia aggiornare la nostra “presenza” sul Web, e non ho mai creduto nelle tanto decantate “potenzialità commerciali” della rete. Detto questo, nel nostro campo, come per tutti i beni collezionabili, e-Bay si è affermato come portale numero uno per la vendita. Sarebbe folle prescinderne, e noi ne usufruiamo in maniera massiccia. Su e-Bay acquisto anche molto per il negozio, e tantissimo per la mia collezione personale, ma i movimenti che si possono fare on line, sia di acquisti che di vendite, non sono paragonabili a quelli che si possono fare all’interno di uno spazio fisico. Riguardo al file sharing, che forse è il punto cruciale della tua domanda, penso che sarebbe bastato un pizzico di controllo per rendere le cose molto meno indigeste, ma la cosa non è stata possibile perché chi piangeva per le mancate vendite di dischi e si scagliava scontro la pirateria on line aveva al contempo altrettanto a cuore la vendita di iPod e masterizzatori. Considera inoltre che in Italia il prezzo del supporto CD, dalla sua introduzione sul mercato fino alla grande crisi, è stato testardamente mantenuto dalle nostre major tra i più alti del mondo, e immagina quindi con quale entusiasmo siano stato accolti Napster e i successori in questo paese, dove per altro, diciamocelo francamente, il concetto di “furto” ci affascina un po’ geneticamente.
11. Ha senso concepire ancora un negozio di dischi come spazio di scambio culturale?
M: Per me non c’è altra scelta. Come raccontavo prima, tre o quattro label differenti fanno capo al negozio, organizziamo concerti e tour per gruppi che produciamo o con i quali c’è un particolare rapporto di amicizia, curiamo la stampa del merchandising, dei poster, dei dischi. Io stesso suono in due gruppi piuttosto attivi e organizzo moltissimi eventi di rilievo, da solo o in coproduzione con realtà affini. Insomma viviamo tutta una serie di attività inerenti alla musica con una certa partecipazione. L’aria che si respira dalle nostre parti, ovviamente, ne risente in positivo.
12. Secondo Jones a sopravvivere saranno le rivendite in grado di adattarsi ai tempi che cambiano. Portando esempi concreti, l’autore intravede uno spiraglio di luce nella scelta di specializzarsi in determinati generi musicali, di ampliare la gamma di prodotti esposti senza snaturare il negozio (ad esempio, con uno stock di strumenti musicali), di sfruttare le potenzialità di Internet per il commercio on line. Visione semplicistica? Soluzioni troppo onerose? M: Sono intuizioni sicuramente brillanti, ma si può andare oltre. A parte il fatto che andrebbero definiti meglio questo livello di specializzazione minimo per sopravvivere, ma soprattutto quello massimo, cioè quello oltre il quale si rischi la morte per “iper-specializzazione”, e quanto questa prospettiva sia realmente una via di fuga in un paese dal mercato traballante come il nostro, o non sia piuttosto una naturale evoluzione in un contesto “discograficamente” più florido come lo è notoriamente l’Inghilterra. Secondo me la soluzione del problema è un'altra: sopravviverà chi si renderà conto di vendere non più mezzi, ma fini. Il cliente è interessato all’oggetto/disco, non alla musica, che probabilmente conosce già a memoria. La diffusione della musica su Internet, nelle sue forme legali o meno, completa il fabbisogno di tutta l’utenza. Il cliente di un negozio di dischi è pertanto un “collezionista” di default, anche se non possiede ancora un disco. Il suo acquisto ne prevede un altro e un altro ancora, o viene dopo tanti altri analoghi. Non gli serve quel supporto per ascoltare la musica, gli serve quel supporto perché per lui “rappresenta” quella musica, che per lui è importantissima e che, posta accanto ad altri oggetti simili, costituisce per certi versi una parte della storia della sua vita. Il negozio di dischi pertanto sopravviverà come sopravvive l’antiquario accanto a IKEA, sono solo cambiate le regole del gioco, come succede periodicamente in molti ambiti del commercio. Ci sono stati dei momenti bui, e forse altri ce ne saranno, ma come dicevo in precedenza trattando altri aspetti della questione, sono certo che la simpatia diffusa verso il downloading illegale recherebbe alla categoria molti meno problemi se la situazione economica generale non fosse così depressa.
13. Dieci titoli da portare su un’isola deserta?
Ramones, Ramones Ramones, Leave Home Ramones, Rocket To Russia Public Enemy, It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back The Sonics, Boom Neil Young, Harvest The Clash, London Calling Bad Religion, Suffer The Stone Roses, The Stone Roses Jane’s Addiction, Nothing’s Shocking R.E.M., Eponymous Descendents, Milo Goes To College Social Distortion, Somewhere Between Heaven And Hell
(I primi tre Ramones durano quanto un disco normale, quindi mi sono allargato un po’...)
Radiation Records Circonvallazione Casilina, 44 00176 Roma 06/90286578 www.radiationrecords.net
GIA' PUBBLICATE:
Intervista "Last Shop Standing" #1: Hellnation (Roma)
Intervista "Last Shop Standing" #2: Rock Bottom (Firenze)
Intervista "Last Shop Standing" #3: Soul Food (Roma)
Intervista "Last Shop Standing" #4: Backdoor (Torino)
Intervista "Last Shop Standing" #5: Vinyl Magic (Roma)
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Articolo del
21/04/2010 -
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