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E’ un peccato che un grande scrittore come Jack London venga spesso relegato al rango di “scrittore per ragazzi”; definizione davvero troppo riduttiva per uno che ha scritto capolavori come “Martin Eden” o “Il tallone di ferro”, solo per citarne alcuni. Soprattutto il grande Jack fu scrittore eclettico, capace di raccontare storie di frontiera, quella del grande nord dei cercatori d’oro (Il richiamo della foresta, Zanna bianca), storie di lungimiranza politica (Il Tallone di ferro, romanzo del 1907 che fu considerato una pietra miliare da intere generazioni di socialisti), storie autobiografiche che non hanno però risparmiato una feroce critica alla forte stratificazione delle classi sociali in America (Martin Eden). Ed ora scopriamo anche un Jack London apocalittico, dato che da poco è stato pubblicato un romanzo brevissimo, di sole 80 pagine, scritto nel 1912: La peste scarlatta.
Siamo nel 2073: esattamente 60 anni (2013) dopo che nel mondo è scoppiata una epidemia che ha lasciato pochi superstiti del genere umano in uno scenario da Day After. Siamo in California, ovviamente in una irriconoscibile California, dove un nonno e un nipote avanzano verso l’accampamento di due pastori su una spiaggia dove un tempo sorgeva San Francisco e dove ora i cavalli selvaggi cercano di sopravvivere agli attacchi dei lupi. Il racconto prende corpo attorno al fuoco, dove il vecchio narra al giovane nipote ed ai suoi amici gli orrori di quella epidemia da lui vissuta 60 anni prima e della scomparsa di quella civiltà della quale il vecchio è ora il solo depositario. Per questo Ottavio Fatica, che ha curato una interessantissima post-fazione al racconto, lo ha definito un “racconto orale” in quanto “la perdita di ogni altra espressione culturale ripristina l’oralità”. Inoltre, tra il vecchio sopravvissuto e i ragazzi riuniti attorno al fuoco che ascoltano il suo racconto, la sola oralità che sembra potersi trasmettere è il recepire le informazioni del vecchio con il solo strumento della fantasia, in quanto tra quelle generazioni non vi è più nulla in comune a livello di conoscenza. Il vecchio infatti ha visto l’ultimo aereo cadere, ma i ragazzi non sanno cosa sia un aereo; gli racconta che San Francisco, quando scoppiò la peste, aveva 4 milioni di abitanti, ma i ragazzi non sanno cosa voglia dire “milioni” e cosi il vecchio deve insegnar loro a contare; il vecchio parla della sua università dove insegnava letteratura, ma i giovani non sanno cosa sia una università né tantomeno cosa sia la letteratura, ed allora spiega che lui insegnava a pensare cosi come i genitori dei ragazzi gli avevano insegnato a nuotare.
Racconto straordinario per intensità e profondità, con una infinità di tematiche che si dipanano da quel fuoco attorno al quale tutti avremmo da imparare. Perché chi ci parla è memoria storica ed esperienza, è conoscenza che ci mette in guardia sulla differenza tra medicina e stregoneria (che è manipolazione); chi ci parla ci spiega che l’istruzione è chiamare scarlatto il rosso; chi ci parla ha scelto come narratore non a caso un professore universitario, cioè il sapere. Perché anche in una società ripiombata all’età della pietra la sola speranza che abbiamo per non ricommettere gli stessi errori è attraverso la conoscenza e la scienza. Ed anche se qualcuno, maliziosamente, ha voluto vedere in questa pubblicazione, che giunge a ridosso del 2012 (anni in cui è stata prevista la fine del mondo) una opportuna operazione commerciale, poco importa: se le operazioni commerciali portano alla pubblicazione di testi simili, ben vengano. Perché di fronte a questo piccolo-grande capolavoro di Jack London non possiamo che inchinarci, consapevoli che abbiamo tra le mani, fine del mondo o meno, un strumento di conoscenza, di discussione e di riflessione, da poter raccontare un giorno attorno ad un fuoco ai nostri amici o ai nostri posteri...
Articolo del
28/04/2010 -
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