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Nona puntata della serie di interviste ispirate dal libro di Graham Jones Last Shop Standing – Whatever Happened To Record Shops? - vedi RECENSIONE - sulle condizioni in cui versano le rivendite di dischi che operano al di fuori delle grandi catene.
Intervista rilasciata da Fabio di Psycho (Milano)
1. Da quanto tempo esiste il negozio?
F: Dal 1988.
2. Quante persone ci lavorano?
F: Al momento due.
3. Com’è nata l’idea di aprire un negozio di dischi?
F: Siamo dei vecchi appassionati e non sappiamo fare altro nella vita.
4. I rapporti con le case discografiche? Nel libro, Jones mette in evidenza che le major favoriscono le grandi catene (gli ipermercati) ai danni dei “pesci piccoli”, completamente trascurati. Confermate o smentite la sua asserzione?
F: Le major hanno sperperato un patrimonio culturale, innanzitutto. Tra le varie fasi di questo sperpero c'è stato anche l'abbandono a sé stessi di quella che avrebbe dovuto essere la fonte primaria della loro ricchezza: i negozi. Un errore che il mondo dell'enogastronomia, tanto per fare un esempio, si è guardato bene dal commettere. A noi manca una cultura da slow food musicale.
5. Veniamo agli acquirenti di dischi: nel vostro negozio entrano più clienti “occasionali” o abituali? Sui guadagni incidono di più le spese dei primi o dei secondi?
F: Ormai sempre più i secondi. I primi si stanno perdendo, perché la gente è sempre più abituata alla mediocrità culturale. Per rimanere sul paragone enogastronomico, sono sempre più abituati a preferire il Tavernello al Chianti DOC.
6. Età media dei clienti? È vero che gli adolescenti si accontentano di file scaricati dalla Rete?
F: Vero, generalmente. Poi però, fortunatamente, esistono le tribù...
7. Scelta dei titoli da tenere in negozio e dei generi musicali trattati: è influenzata dai vostri gusti personali? Dalle recensioni di testate specializzate (quali?)? Prendete in considerazione le hit-parade?
F: Ovviamente in parte è influenzata, più che dai gusti, dalle conoscenze musicali personali. Alcune testate musicali le seguiamo, anche se con senso critico: “Rumore”, “Mucchio”, “Blow Up”, “Buscadero”, “Late For The Sky”, “Jamboree”, ecc.
8. Quali dischi avete venduto di più negli ultimi mesi?
F: Le novità indie e rock italiane e straniere più interessanti.
9. Le richieste più stravaganti ricevute?
F: “Avete quel disco di Maicol Gekson che fa: ‘Kissa Kissa, Ghirroppa, Ieje, Makusa Makusa’”...
10. Avventori bizzarri?
F: Il tipo che è entrato in negozio con un serpente al collo? Mah! Il nome del nostro negozio è “Psycho”: siamo una calamita per i clienti bizzarri!
11. Il disco, o i dischi, di cui mai avreste sperato di sbarazzarvi, che tra l’altro siete riusciti a vendere a un prezzo folle?
F: Through The Barricades degli Spandau Ballet in vinile: era prezzato a 1,99 euro. Un tizio entra e si rifiuta di pagarlo così poco (per lui era un disco BASILARE...). Ci piazza una banconota da 50 sul bancone e se ne va...
12. Internet: quanto ha inciso sui ricavi del negozio? Il Web va demonizzato? Lo utilizzate per reperire dischi, anche per le vostre collezioni personali? Vendete dischi on line?
F: Incide e ha inciso perchè ha fatto sparire i clienti occasionali. Non lo demonizziamo, affatto: non ha senso demonizzare il progresso tecnologico. Vendiamo dischi on line, soprattutto quelli analogici: per esempio abbiamo un mail order sul vinile da collezione.
13. Ha senso concepire ancora un negozio di dischi come spazio di scambio culturale?
F: Ha senso SOLO concepirlo in questo modo!
14. Secondo Jones a sopravvivere saranno le rivendite in grado di adattarsi ai tempi che cambiano. Portando esempi concreti, l’autore intravede uno spiraglio di luce nella scelta di specializzarsi in determinati generi musicali, di ampliare la gamma di prodotti esposti senza snaturare il negozio (ad esempio, con uno stock di strumenti musicali), di sfruttare le potenzialità di Internet per il commercio on line. Visione semplicistica? Soluzioni troppo onerose? F: Soluzioni ovvie o generalistiche che significano tutto e niente. Vero, ma che vada un po' più nello specifico questo Jones saputello, poi ne parliamo. Fosse così facile, non avrebbero chiuso così tanti negozi negli ultimi tempi.
15. Dieci titoli da portare su un’isola deserta?
Ummadonna, a questa domanda mi rifiuto di rispondere...
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Articolo del
05/05/2010 -
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