|
Memorizzate questi nomi: Antonio Cangiano, Salvatore Nuvoletta, don Peppe Diana. Chi sono questi sconosciuti, vi chiederete? Sono eroi: eroi del nostro tempo. Sono soldati morti in una guerra che nessuno ci racconta, una guerra che si combatte tutti i giorni e che in trent’anni ha fatto più morti della striscia di Gaza. Una guerra che si combatte nel nostro paese, nella nostra terra, ma che la stampa nazionale finge di non vedere. E loro, quegli eroi, sono stati in prima linea in quella guerra, uccisi 2 volte: dapprima con le pallottole, poi con la diffamazione. Quella diffamazione che la stampa locale non esita a generare nel suo pubblico di lettori perché questo vuole la camorra: che quella guerra venga raccontata solo li, con un linguaggio locale che sia comprensibile solo ad un pubblico locale, e che venga raccontata sempre esaltando le gesta dei boss ed insinuando invece il sospetto che le vittime, innocenti ed eroiche, che a quel potere cercano di opporsi con i pochi mezzi a disposizione, vengano infangate nella loro memoria perché in fondo in fondo anche loro cosi puliti e trasparenti non sono.
Ma, per fortuna che Roberto c’è. Per fortuna che quella stessa guerra di camorra la sta combattendo da anni anche il più grande intellettuale vivente che abbiamo nel nostro paese; ed un intellettuale ha un solo mezzo per combattere le sue guerre. Quello della parola: Quella della diffusione della parole, quella del raccontare storie che altrimenti rimarrebbero relegate a cronaca locale solo per qualche giorno, quella di accendere i riflettori nazionali ed internazionali su un fenomeno che è internazionale ma che si continua a voler far passare come locale ed addirittura provinciale. Chi non ha avuto modo di vedere la trasmissione, andata in onda su Rai Tre a marzo del 2009, in cui Saviano ci racconta come sia fondamentale, attraverso la parola e attraverso l’interpretazione di essa, capire cosa succede tutti i giorni in quelle province martoriate di Napoli o di Caserta, ha la possibilità di riparare a questa mancanza. E potrà assistere, nel dvd allegato al libro, a come Saviano ci spiega, con la sua straordinaria capacità espositiva, con la sua parola, sempre leggera perché comprensibile da tutti ma sempre pesante come un macigno per ciò che esprime, come quella guerra di camorra viene quotidianamente raccontata dalla stampa locale con una eccezionale scelta di titoli presi direttamente dalle maggiori testate giornalistiche locali. Quelle testate che mai, ad esempio, utilizzano nome e cognome per descrivere un fatto di cronaca che riguarda un boss o un semplice affiliato, ma che invece sempre utilizzano il soprannome: perché di Francesco Schiavone ce ne possono essere molti, ma soltanto uno è Sandokan, e chiunque, da quelle parti, sa di chi si parla utilizzando quel soprannome.
Dunque è attraverso lo straordinario lavoro di Saviano che oggi possiamo dire di conoscere qualche storia in più di quelle terre, qualche nome in più di quei morti ammazzati, per caso o perché si erano opposti ad un potere criminale in una terra dove questo non è permesso; è grazie al lavoro di questo grandissimo intellettuale se oggi si può disegnare una mappa precisa degli investimenti finanziari della camorra; è grazie a lui se ora abbiamo la possibilità di leggere con indignazione quelle notizie date da quelle testate giornalistiche che usano esse stesse un linguaggio camorristico. Già, Saviano ci ha dato la possibilità di tutto questo, ma ora tocca a noi. Tocca a noi innanzitutto non lasciarlo solo: e questo lo si deve fare in 2 modi. Il primo è che, come lui stesso ci insegna, è necessario raccontare. E’ la parola che può sconfiggere il potere criminale, non lo scrittore. E’ attraverso il raccontare storie che diventano di tutti che non è più possibile fermare la verità, perché essa si propaga, si diffonde, si espande, e non è più soltanto circoscritta allo scrittore. Un po’ il senso della sua risposta a chi gli chiede “perché racconti?”: “e tu perché tu non racconti”. L’altro modo è quello di non cadere nel gioco della diffamazione, del sospetto, del dubbio che, cosi come viene insinuato nelle vittime innocenti di quella guerra per renderle sporche e non eroiche, qualcuno ha iniziato ad innescare questo perverso meccanismo anche nei confronti di Saviano. Per chi scrive Saviano è, oltre che intellettuale straordinario, soldato in prima linea nella guerra contro la criminalità, soldato schierato dalla parte giusta, senza se e senza ma. E sentire dire che i racconti di Saviano rafforzano la camorra è già il primo segnale di quel gioco di diffamazione che ha l’obiettivo di screditare chi invece, con strumenti civili come il racconto, la parola, la verità, combatte l’inciviltà di una guerra di mafia, e questo ci deve indignare.
Philip Roth, il grandissimo scrittore americano, alla domanda su quale fosse il libro più importante che avesse letto, rispose “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Perché, disse, “dopo averlo letto nessuno può più dire di non essere stato ad Auschwitz". Non essere stato, non semplicemente non conoscere. Ecco, direi che dopo aver letto o ascoltato Roberto Saviano, nessuno di noi potrà dire di non essere parte di quella guerra che si combatte ogni giorno in quella martoriata terra campana, ma che, ovunque ci troviamo, è terribilmente vicina a noi e non ci deve mai vedere estranei.
Articolo del
10/05/2010 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|