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Ci sono scrittori che sono immeritatamente famosi, e scrittori che meriterebbero di essere letti nelle scuole per la grandezza letteraria delle loro opere ma che invece sono spesso dimenticati. Per fortuna un editore serio come Adelphi ha deciso di pubblicare, da qualche anno, l’intera opera di Irene Nèmirovsky, permettendone la conoscenza a tutti quei lettori che, aumentati in maniera esponenziale in breve tempo, dovranno per sempre ringraziarlo. Perché la Nèmirovsky, nata a Kiev nel 1903 ed uccisa nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1942 a soli 39 anni, meriterebbe a mio avviso di essere inserita di diritto nell’Olimpo dei più grandi scrittori del novecento. La sua vasta opera è costantemente pervasa da uno sguardo lucido, indagatore, profondo, passionale e al tempo stesso cinico e disilluso. Ebrea dell’est, ha saputo evidenziare con precisione chirurgica, tutti quelli che sono stati i migliori pregi ed i peggiori difetti della sua gente, senza mai cercare pietismo o autocommiserazione.
Anche in questo bellissimo romanzo, I cani e i lupi, attraverso gli occhi della protagonista Ada Sinner, ha modo di raccontare quello che è stata la dura vita degli ebrei di Kiev nella Russia pre-rivoluzionaria, delle stratificazioni sociali e geografiche (la città bassa abitata dalle classi più povere, la città alta abitata dai commercianti e borghesi), dei pogrom (le devastazioni antisemite avvenute in Russia fino al 1921) vissuti con terrore dalla piccola protagonista e dai suoi parenti stretti. E in quel contesto di sofferenza e di dura sopravvivenza ci racconta di una storia d’amore, quella tra Ada e un suo lontano cugino, Hanry Sinner, che porta lo stesso cognome ma che appartiene a quella classe superiore di ebrei che vivono in alto, più in alto sia nella città che nella scala sociale. Una storia d’amore che, per queste differenze, rimane non vissuta, presente solo nei sogni e nelle speranze di Ada. Fino a quando, a Parigi, Ada, divenuta pittrice, non incontra di nuovo Hanry, che casualmente nei suoi quadri aveva riconosciuto non l’arte, ma il richiamo di un vissuto che apparteneva anche a lui, di un passato fatto di simboli, di un richiamo primordiale che appartiene a quella stessa razza, cosi come alla stessa razza appartengono i cani e i lupi, e la sola cosa che li distingue è che i primi finiscono per essere addomesticati mentre i secondi rimangono spiriti selvaggi...
Attenzione: non vi troverete di fronte un pesante tomo dove si parla della solita storia d’amore o della solita storia di ebrei. Perché la Nèmirovsky affronta questi temi importanti con la maestria di chi ha capacità di sintesi e con lo spirito critico di chi, conoscendola dal di dentro per appartenenza, descrive fatti e misfatti di una comunità che quasi sempre rimane chiusa in se stessa, non integrata, che sembra non voler diventare europea, avida di potere e di denaro, ottenuto con il commercio o con le banche. Avidità che sembra colpire in maniera profondamente negativa la grande scrittrice (leggere a questo proposito anche David Golder, da molti considerato il suo capolavoro). Vi troverete invece davanti un romanzo che, sullo sfondo di questo contesto, racconta dell’amore sofferto di Ada per un uomo che gli sarà impossibile avere e che per questo è destinata ad una solitudine alimentata solo dai sogni. Fino a che, con il bambino appena nato, non scoprirà un altro “noi”: ed era una parola dolcissima.
Ennesimo capolavoro di questa grande scrittrice: e chi ancora non la conoscesse, non perda altro tempo ed inizi con la lettura di uno qualsiasi dei suoi romanzi finora pubblicati: non c’è che l’imbarazzo della scelta, perché sono tutti una garanzia di grande letteratura.
Articolo del
25/06/2010 -
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