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Inverno 2003-2004. Rodolfo Sist, Valentina Cereser e Mattia Bigarani, tre liceali pordenonesi, vivono il loro ultimo anno di scuola, quello della maturità. Ma la maturità che verrà non sarà solo quella scolastica (il romanzo, peraltro, si ferma prima), ma quella interiore. La vita li costringerà ad abbandonare la scomoda ma dorata sospensione dell’adolescenza, immergendosi fino in fondo nelle loro paure, nelle loro ingenuità, nelle loro illusioni, rendendoli giovani adulti.
Detto così sembra niente, lo so. Perfino noioso, magari. Ma è che non posso raccontarvi di più. Perché gran parte della magia – sì , avete letto bene: magia – di questo esordio sulla lunga distanza di Simone Marcuzzi, ventinovenne ingegnere pordenonese (ma non esordio assoluto: nel 2006 aveva pubblicato la raccolta di racconti Cosa faccio quando vengo scaricato e altre storie d’amore crudele per Zandegù editore, che vi esorto a procurarvi). La scoperta di quello che avviene nel corso del libro è stavolta molto più di altre parte integrante della bellezza e del senso a tratti di meraviglia che trae dalla lettura. Vi posso dire che Marcuzzi giostra abilmente tra passato e presente, alternando i capitoli della storia principale (quelli numerati in progressione) a rivelatori flashback sulla vita dei tre protagonisti (i capitoli con tanto di mese e data). È in questa alternanza temporale che prende forma la fascinazione del lettore, indotto a credere che il personaggio principale sia uno, poi l’altra, poi l’altro ancora. Tre ragazzi, tre tipi umani. Si è portati a individuare in Rodolfo il protagonista: ma non ne sarei così sicuro, e anche questo è un bel merito di Marcuzzi, che tratteggia due comprimari che potrebbero benissimo occupare ciascuno la scena nel ruolo più importante.
Fatto sta che Marcuzzi scrive maledettamente bene: “estate 1990” è una delle cose più belle sull’infanzia che io abbia mai letto; “estate 1991” e “estate 1994” colpiscono duro e commuovono davvero; il modo in cui si conclude “cinque” spinge a leggere ancora con il cuore in gola. In più, Marcuzzi cambia “voce” in modo credibile, passando dai pensieri di Rodolfo a quelli di Valentina a quelli di Mattia. Tutti e tre, alla fine, si trovano a fare i conti con un mondo che li ha amati, violentati, deturpati, torturati, maltrattati, in cui magari si sono anche divertiti, ma che alla fin dei conti non gli piace. Come diceva Paul Nizan: "Avevo vent'anni. Non permetterò a nessuno di dire che è la più bella età della vita”. Ma Rodolfo, Valentina e Mattia sanno che questo mondo non potranno cambiarlo (e questa sfiducia è forse il tratto distintivo delle giovani generazioni d’oggi). Ecco il perché della citazione dei Baustelle nel titolo: basterebbe che il mondo li lasciasse in pace, non chiedono altro. E invece. I conti si presentano, tutti, per essere regolati fino all’ultimo.
In gara per essere il “Jack Frusciante” di questi Anni Dieci.
Articolo del
28/08/2010 -
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