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Quando usci nel 2009 il libro di Nicolaj Lilin suscitò fin da subito curiosità ed interesse. Anche Saviano scese in campo elogiandolo positivamente, e forse per questo in molti hanno accostato il nostrano Gomorra con questo romanzo-saggio autobiografico del giovane scrittore Lilin. Rispetto a Gomorra però va subito evidenziata una distinzione di non poco conto: Saviano scrive di ciò che sa e da ciò che sa denuncia; Lilin racconta ciò che ha vissuto in prima persona e si guarda bene dal pronunciare giudizi. Entrambi esplorano quel vasto territorio della criminalità, ed entrambi hanno avuto un merito indiscutibile: Saviano quello di rendere nazionale ed internazionale un fenomeno che tutti, per troppo tempo, abbiamo erroneamente ritenuto al massimo “regionale”, Lilin quello di svelare a noi tutti un mondo culturale, storico, geografico, che quasi facciamo fatica a rintracciare anche su una cartina geografica.
Perché il mondo criminale che ci descrive Lilin è quello della Transnistria, regione dell’ex Unione Sovietica situata tra la Moldavia e l’Ucraina. E la comunità su cui focalizza il suo racconto è la sua, quella degli Urca Siberiani, cioè quella comunità che fin dai tempi degli zar aveva vissuto nelle sterminate taighe e foreste siberiane, organizzata in bande criminali (questo è il termine che lo stesso scrittore usa fin quasi alla nausea nel suo racconto) dedite alle rapine e ai saccheggi dei convogli imperiali che trasportavano ogni tipo di merce dall’oriente ad occidente o viceversa. Negli anni 30 poi, sotto il regime stalinista, gli Urca furono deportati appunto in Transnistria, regione poverissima della Russia, insieme ad altri pericolosi criminali di altre etnie. Ed è stato cosi che la città di Bender, dove è nato e vissuto Lilin, è divenuta in breve terra di tutti e di nessuno, dove bande di criminali georgiani, armeni, ucraini, caucasici, cosacchi, ebrei, dopo essersi spartiti la città ricreando le loro micro-comunità nei vari quartieri, si sono affrontati per decenni massacrandosi senza pietà.
In questa mappa criminale, ben disegnata nel suo lungo romanzo autobiografico, Lilin ci prende per mano e con un linguaggio semplice, quasi infantile (ha scritto direttamente in italiano, che non è la sua lingua) ci fa conoscere la sua comunità criminale siberiana, retta da tradizioni antiche dove i vecchi sono l’espressione di una saggezza che non và perduta ma rispettata e tramandata, e da un codice etico che quasi rende credibile l’ossimoro che possano esistere criminali onesti. Questa comunità infatti, pur avendo da sempre rifiutato il potere imposto dall’alto (qualsiasi forma di potere, dallo zarismo al comunismo) e vivendo di fatto in una sorta di anarchia ingestibile da qualsivoglia governo centrale, ha sempre vissute secondo le sue regole, non negoziabili per nessun membro della comunità e non modificabili da nessuna autorità ad essa esterna. E’ una comunità che rispetta tutti, tranne i poliziotti (con i quali gli uomini non si abbassano neanche a parlare direttamente, ma quando costretti ci parlano solo attraverso l’intermediazione di una donna), gli usurai, i banchieri e tutti coloro che hanno a che fare con il denaro e che per il denaro sfruttano altri esseri umani. E’ una comunità che crede in Dio e che rispetta ogni altra religione, ma che non considera né la Chiesa né la religione una struttura, perché Dio non ha creato i preti ma solo uomini liberi; al tempo stesso è una comunità che rispetta profondamente i voluti da Dio, cioè gli handicappati ed i malati di mente; rispetta profondamente la madre e la famiglia, e protegge ogni suo individuo in quanto parte di un tutto, di un corpo unico. E per questo forte codice etico poi, se si sgarra, si diventa criminali disonesti e si paga con la vita.
Un viaggio inusuale, dunque; interessante perché a noi sconosciuto, che ci tiene sempre sul filo di una tensione continua e che ci porta sull’orlo di un trasporto psicologico in cui ci chiediamo da che parte stare, noi che siamo abituati a distinguere i buoni e i cattivi in maniera molto più netta. Perché se da una parte assistiamo con orrore alle risse tra adolescenti in cui (narratore compreso) si tagliano con lame di coltello i legamenti del ginocchio degli avversari e si spara senza pietà su chi ha violentato una disabile infrangendo cosi ogni codice di qualsiasi criminale onesto, dall’altra non possiamo non riconoscere che quelle regole e quel codice che si sono dati gli Urca Siberiani sono forse più rispettabili di quelli vigenti nei contesti in cui sono costretti a vivere, e che comunque quei codici e quelle regole hanno l’indubbio fascino di rendere più umani quei criminali, forse addirittura più umani di tanti criminali che vivono nelle nostre comunità e che, pur commettendo tutt’altro tipo di reati, non sono meno esecrabili. Forse la risposta viene ancora una volta dall’esempio di vita di nonno Kuzja, vecchio e saggio Urca siberiano: vivere da soli nel bosco, in mezzo alla natura. Perché se si è davvero umani non si può vivere in mezzo agli uomini!
Articolo del
30/08/2010 -
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