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Ponderoso (210 pagine scritte piccole) e intenso saggio, questo del bravo Christian Zingales su Franco Battiato. Come si capisce dal titolo, una piccola celebrazione, dato che, citando un verso di Passaggi a livello (1980) del catanese, Zingales rimanda all’opera di Philip Glass e Robert Wilson (1976) Einstein On The Beach. Che è come dire che Battiato è un genio. Lo sapevamo già, ma il titolo è perfettamente in linea con un saggio in cui Zingales non perde occasione per sottolineare quanto Sommo sia il Nostro, ponendolo in un’ideale Sacra Trimurti della musica italiana, insieme con i due Lucio, Battisti e Dalla: insomma il saggio di un devoto fan. Ma non un’agiografia d’accatto, come quelle che per molti anni hanno infestato gli scaffali con la dicitura “Musica” delle librerie.
Se a un’agiografia assomiglia (per Zingales Battiato è “uno che non si sa se ve lo meritate, e se lo meritate, sappiatelo”), forse il paragone migliore è però con la sostanziosa documentazione, filosoficamente argomentata, che accompagna le cause di beatificazione e santificazione presso Santa Romana Chiesa Cattolica e Apostolica. E difatti il libro si fa subito apprezzare perché per le prime 86 pagine sfugge, meritoriamente, allo schema obbligato di ogni libro che tratti la carriera di un musicista, e cioè l’andamento annalistico, year by year, record by record. In esse Zingales analizza ed individua i punti forti della poetica di Battiato, volando alto da periodo a periodo, libero dal suddetto (a volte) castrante schema. Ed eccoli, i capisaldi: la fisiognomica, la vita come continuo confronto con la morte, l’invettiva, la spiritualità che diventa religiosità sui generis, il senso del bene e del male che informa di sé ogni manifestazione “battiatesca”, la memoria dell’infanzia. Definite le coordinate, Zingales passa all’analisi della vicenda bio-discografica di Battiato, risultando spesso generoso di osservazioni intelligenti e notizie non banali. Un buon saggio, consigliato a chi voglia approfondire quanto ha già ascoltato nei dischi, e anche un buon invito ad approfondire la conoscenza di un musicista dalla discografia sterminata. Dispiacciono tanto di più, perciò, alcuni vezzi snobistici e qualche “paraocchismo” che è anche caduta di stile: l’uso insistito e permanente del plurale maiestatis (Zingales parla di sé sempre usando il noi, generando un effetto “Elisa di Rivombrosa” che non è il massimo); il disprezzo per i segni di punteggiatura che non siano le virgole (generando frasi-monstre che non sarebbero dispiaciute a James Joyce, col loro totalizzare anche mezza pagina senza un punto, un punto e virgola, un due punti, un paio di parentesi o di lineette, in un inseguimento di una scrittura lirico-filosofica che, vabbé, per me lascia il tempo che trova, anche se non appesantisce la lettura come in teoria potrebbe riuscire a fare. Però: come buttare nel cesso millenni di evoluzione linguistica in omaggio ai deliri-delitti sintattici di Enrico Ghezzi); la sorprendente polemica XL-Rolling Stone per la copertina dedicata da quest’ultimo a Berlusconi (mentre XL usciva con il Battiato anti-Berlusca di Inneres Auge sulla propria cover. Ma dico io: “A Zì, sei uno intelligente: come fai a non aver capito che quella copertina di RS era super-anti- Berlusconi? Una faccia dal ghigno grottesco, che sotto l’abbronzatura rivela un pallore cadaverico; una postura e una pettinatura che ricordano quella di Andreotti; il fatto che strappi in due la bandiera italiana; e – soprattutto – i gemelli della camicia che SONO DUE TESCHI! E tu mi spari una pippa sul vero spirito del rock con cui Berlusconi – definito da RS “rockstar del’anno” – non c’entra nulla? Mah”).
Peccato poi per la mancanza di un indice analitico, senz’altro utile in un saggio così ricco. Che, nonostante i suddetti difetti, per me rimane un libro importante.
Articolo del
18/10/2010 -
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