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L'editore Neri Pozza punta sullo scrittore Romain Gary (pseudonimo di Roman Kacev), nato a Vilnius in Lituania ma cresciuto in Francia, autore di opere considerate dalla critica più attenta veri e propri capolavori, come Le radici del cielo o La promessa dell’alba. Chi non lo conoscesse può però avvicinarsi a lui iniziando con leggere La vita davanti a sé, racconto meraviglioso, struggente, ambientato nella Parigi degli anni 70. Anzi, in una di quelle periferie che oggi chiamiamo banlieu e che proprio alla fine degli anni 60, a causa della imponente immigrazione verso la Francia (soprattutto dal Nord Africa) andavano prendendo quella forma con cui le identifichiamo ora. Anzi, in una palazzina di quella banlieu, che è già di per sé un microcosmo variegato di lingue, culture, religioni: non di classi sociali, ovvio,dato che parliamo di luoghi fatiscenti e degradati dove non ci si và certo a vivere per scelta.
E’ in quella palazzina che vive Momò, un bambino algerino, insieme con Madame Rosa, una vecchia puttana ebrea di 95 kili scampata al campo di concentramento che ora alleva i figli delle colleghe. Vivono in un appartamento di 2 stanze al settimo piano senza ascensore; è figlio di nessuno, Momò, e dunque è figlio di tutti: figlio di un vaglia che arriva ogni mese per il suo mantenimento, figlio dell’emarginazione che inevitabilmente tocca gli ultimi arrivati, figlio di una non identità che rende sconosciuti i suoi veri genitori, figlio dei marciapiedi di quella banlieu in cui impara troppo presto una vita da adulto. E’ figlio di Victor Hugo, che conosce attraverso i racconti del vecchio musulmano Hamil, ed è figlio di Madame Lola, il bellissimo travestito che riesce a mantenere e trasmettere una immensa umanità nonostante la durezza del contesto e del mestiere che la vita gli ha riservato. Ed è soprattutto figlio di Madame Rosa, che lo ha cresciuto mentendogli sulla sua età per averlo più tempo con lei, e che accompagnerà fino alla morte in uno straziante quanto dignitoso percorso obbligato.
Il libro è stato scritto nel 1970 (ne fu tratto un film omonimo che vinse l’Oscar come miglior film straniero nel 1978) ma la grandezza è proprio nella sua incredibile attualità. Oltre al contesto in cui è ambientata la storia, che è quello stesso contesto che oggi, 30 anni dopo, ci troviamo spesso a fotografare quando si parla di multiculturalità, immigrazione, inserimento degli stranieri nelle nostre società, il racconto affronta anche temi straordinariamente preveggenti: come quello dell’eutanasia, che ancora oggi appare essere uno di quegli argomenti che, almeno nel nostro paese, rimangono tabù quando non vengono affrontati con retorica e superficialità. Ogni personaggio del racconto è poi descritto con una raffinatezza letteraria tale da renderli esempio di quella diversità (sessuale, etnica, religiosa) che rafforza l’idea che è proprio da questi contesti e dagli scambi di vita quotidiana che essi generano che dovrà nascere una società capace di fare della diversità una ricchezza. E’ per questo che Momò è figlio di tutti noi, e quando accetteremo che questi figli adottivi hanno le stesse paure, lo stesso bisogno di amore, la stessa capacità di rinnovare il mondo con il loro sguardo vergine ed innocente, di tutti i nostri figli legittimi, avremo fatto davvero un bel passo avanti verso quella società che non dovremo più chiamare multiculturale, ma semplicemente la nostra società.
Articolo del
01/12/2010 -
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