“Il viaggio spirituale e musicale di George Harrison” promette il sottotitolo. E il libro mantiene. Tra tutte le biografie del Terzo Beatle questa si segnala per il taglio senz’altro originale e inconsueto, facendo luce su uno dei lati più intimi della vita del buon George: quello spirituale e religioso, segnato, come tutti sappiamo, dall’adesione entusiastica al credo “Hare Krishna”, veicolato dalla scoperta del sitar e della musica indiana, instradato dall’amicizia con Ravi Shankar, sostanziato da un senso di vuoto esistenziale dovuto all’esperienza traumatica della fama planetaria dei Fab Four. Trauma sintetizzato dalla nota frase pronunciata da George subito dopo l’ultimo concerto, quello al Candlestick Park di San Francisco, il 29 agosto 1966: “Ho finito, non sono più un Beatle”.
Non andò così, come sappiamo, e George compose alcune delle canzoni più belle dei Beatles: Here Comes The Sun, appunto, Something, While My Guitar Gently Weeps. Ma la testa, o l’anima, se preferite, era altrove. Joshua M. Greene, anche lui un Hare Krishna, racconta la storia di questa esperienza spirituale senza fare, assolutamente e per fortuna, proselitismo, e con molte testimonianze di prima mano, raccolte dai fedeli che hanno conosciuto e frequentato George nel corso della sua vita. Certo, le canzoni ci sono, ma non sono in primo piano: eppure la loro osservazione da questo punto di vista aggiunge particolari non conosciutissimi che aiutano a comprenderne la genesi, il valore che Harrison vi attribuiva e il senso. Alcuni filoni della sua vita sfumano sul fondo, come la sua attività di produttore cinematografico, ma altri acquistano rilievo, come il doloroso divorzio da Patti Boyd, che lo lasciò per Eric Clapton. Incertezze e cadute dal punto di vista spirituale non sono taciute, anche se la fine di Harrison somiglia un po’ troppo a quella di un santo. Ma è anche probabile che le cose siano andate davvero così, vista la piega che il chitarrista gentile aveva dato alla sua vita. Molto interessanti le reazioni al tour di Dark Horse, peraltro uno degli album peggiori della sua discografia, del pubblico, che non sopportava le prediche harrisoniane e la sua testardaggine nel portare avanti un tour pur essendo senza voce, e di Harrison stesso, che da quel fallimento comprese che l’attacco frontale al Material World era controproducente.
Un libro ben scritto, consigliato a tutti i beatlesiani.
Articolo del
16/02/2011 -
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