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Se non vado errato, questo è il secondo saggio che esce sui Marlene Kuntz, dopo quello di Chiara Ferrari uscito nel 2005 per Giunti. E con esso questo volume ha due cose in comune: è il prodotto di un’autrice ed è organizzato tematicamente. Mentre là si analizzava l’opera di Godano e soci dividendola in Spore, Idea, Musica e Stile, qui, dopo un paio di capitoli dedicati alla nascita e alla preistoria della band (Tempo, spazio e Esordio) e una rapidissima panoramica album per album, ci si concentra su aspetti più vari di quello che viene definito l’immaginario marlenico (tra parentesi: mio Dio, che brutto aggettivo. Ce n’era proprio bisogno?): Il vivere sociale, L’arte tra il serio e il faceto, Il lampo di infinità, Le donne, Ritratti, Autoritratti. L’approccio tematico, anziché cronologico, ha pregi e difetti in sé: fa perdere di vista l’argomento comune a ogni album, che spesso esiste, senza che ogni disco si trasformi in un concept; ma permette di individuare meglio i nuclei forti del discorso poetico di un artista, evidenziandone per di più l’evoluzione nel tempo.
Orlandotti sceglie questa strada e non trascura nulla: si racconta di ogni canzone e si offre persino un resoconto della frequenza lessicale di alcuni termini-chiave (pp. 168-173). Insomma, un repertorio molto completo, con a monte quello che si intuisce un grosso lavoro, corroborato da numerose dichiarazioni di Godano e di alcuni collaboratori della band, che offrono materiale di prima mano per futuri studi. Lo sguardo di Orlandotti si estende anche al Lavoro sul suono, alle Cover, a Progetti e collaborazioni, alle performance video (Visual) e al modo di porsi dei Marlene in rete e nei confronti dei fans (Internauti e interazioni). Insomma, una panoramica meritevole per l’ampiezza della trattazione. Ma che trova il suo (auto)limite nelle parole stesse dell’autrice: “Tra gli scopi di questo volume c’è il fornire una visione d’insieme e non perdersi nei minimi particolari per svelare ogni arcano”. E questo detto al termine del capitolo più interessante scritto da Orlandotti, La nuova canzone per la generazione X, in cui si analizza la novità dello stile dei testi di Godano all’interno della canzone italiana. Perché questo (auto)limite? Perché fornire solo dati, come in una tesi di laurea compilativa, e non interpretazioni? Che, oltre al capitolo citato, sono solo affidate alla postfazione di Paolo Giovanetti Il ritmo carcere che libera. Le pinzochere lubriche dei Marlene Kuntz, che benché scritta in un linguaggio da pesantissima accademia, dice delle cose realmente interessanti. Non so, a me pare un po’ poco, e nell’era di Internet, dove testi, musiche, eventi principali delle bio degli artisti si trovano ovunque, il non offrire interpretazioni mi pare un grosso peccato in un libro. Meglio dei pareri opinabili, su cui discutere, che i freddi dati, a mio parere. Segnalo con perplessità il fatto che, oltre alle ascendenze letterarie del linguaggio poetico di Godano non se ne sia notata la caduta a tratti nel cantantese, ovvero in quell’italiano che esiste solo nelle canzoni, fatto di aggettivi posposti ai sostantivi per esigenze ritmico-rimiche, ad esempio. E mi perplime pure il capitolo dedicato alla rassegna sulle donne delle canzoni dei Marlene, in cui aleggia un rimprovero neanche troppo sottinteso a Godano per non aver creato dei personaggi femminili attivi e con un proprio mondo. Rilievo secondo me ingeneroso, dato che Godano è autore di liriche (etimologicamente, componimenti poetici brevi dedicati all’espressione dei propri sentimenti), in cui il protagonista, alla fine della fiera, è sempre lui, lui, lui; e che, come rileva la stessa Orlandotti, la donna immaginaria del cantante dei Marlene è molto simile a quella dello Stilnovo. Insomma, come rimproverare a Dante di non essere Virginia Woolf.
Il libro, però, rimane una compilazione ben fatta: consigliato l’acquisto a chi non ama analisi e rimuginamenti.
Articolo del
19/02/2011 -
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