|
Non vi è dubbio che il nostro paese sia legato a filo doppio con l’America: nel corso del secolo scorso grandi migrazioni delle nostre genti hanno contribuito ad innalzare ponti di contatto tra la nostra comunità e il nuovo continernte.. Sono molti gli italo-americani che sono riusciti nella non facile impresa di affermare e mantenere le proprie radici in quella immensa e sconosciuta terra quasi vergine e a far si che quelle radici, e soprattutto il racconto di quelle esperienze che si sono poi tramandate per tutte le generazioni successive a quelli dei pionieri, divenissero un patrimonio comune sia del vecchio che del nuovo mondo. E non vi è dubbio che il nostro paese ha contribuito anche a livello letterario a rendere grande quella giovane terra.In questo quadro un posto di tutto rispetto lo dobbiamo concedere a John Fante, quell’autore della famosa saga di Arturo Bandini, il suo alter ego letterario, con il quale ha raccontato i sogni e le speranze, a volte andate deluse ma molte spesso realizzate, di quegli italiani che, come la sua famiglia, approdarono nel nuovo continente ai primi del novecento con la famosa valigia di cartone.
Oltre alla citata saga di Bandini, Fante scrisse altri romanzi a sfondo autobiografico, come questo piccolo gioiellino di Full of life, ove si racconta non più con il suo alter ego ma direttamente come John Fante. E lo fa per descrivere la sua esperienza, accanto alla moglie Joyce, durante la gravidanza di questa per l’arrivo del loro primogenito. Ovviamente il suo punto di vista è quello dell’uomo che guarda la sporgenza di sua moglie come tutti gli uomini guardano la pancia di una donna in attesa, con quella grande curiosità ed attenzione ma al tempo stesso con un sorta di estraneità. L’attenzione della donna si concentra sempre più verso quella sporgenza che cresce, cosi come cresce quel senso di estraneità e di solitudine che afferra l’uomo. Cosi la loro casa che viene attaccata dalle termiti nelle sue fondamenta appare splendida metafora di un rapporto di coppia che viene logorato da un nemico invisibile ma pericoloso.
Detta cosi potrebbe sembrare che, come la storia della letteratura è costellata di romanzi definiti femminili, qui ci troviamo di fronte ad un romanzo che potrebbe definirsi maschile (e a tal proposito soffernatevi attentamente sull'ottima prefazione di Paolo Giordano). Ma nel leggere questo piccolo grande racconto autobiografico la mi personale e netta sensazione è stata quella di trovarmi di fronte ad un grande romanzo, senza accezioni che di fatto ne sminuirebbero il suo valore. Perché qui siamo di fronte non solo al punto di vista del Fante che attende, inesperto e spesso impotente, di fronte ad un meccanismo che appare impenetrabile per un uomo, e dunque siamo di fronte al punto di vista maschile. Qui siamo di fronte anche a quello che Fante ha sentito, vissuto e cercato di rendere vivo dal punto di vista di sua moglie, con la sua attesa fatta di dolcezza ma anche di angosce e di dolori difficilmente narrabili. E siamo soprattutto in presenza, ancora una volta, di una magistrale descrizione della figura paterna di John, cioè di quel vecchio padre Nick, muratore abruzzese rude, tenace, duro, apparentemente insensibile ma in realtà figura straordinaria e rappresentativa di una intera generazione di migranti italo americani. Perché è attraverso questa figura del vecchio Nick che noi ancora oggi sappiamo del sudore operaio di quell’inizio di secolo, che costruiva case con le proprie mani, coltivava terra con le proprie capacità, manteneva superstizioni popolari portate con se dai propri paesi di origine e che hanno dato identità ed appartenenza ad una comunità in quella grande nazione spesso inospitale.
Il tutto visto e raccontato in stile John Fante, ovviamente: cioè in uno stile ironico, tenero, avventuroso: insomma in quel classico stile che porta il lettore a poter ridere e piangere nell’arco della stessa pagina. E soprattutto in quello stile di un autore che, figlio del buon vecchio Nick, rude ma efficace muratore abruzzese, non le manda certo a dire con sotterfugi letterari. Come quando si trova al di la del vetro della sala parto in ospedale per vedere suo figlio appena nato: era grinzoso e brutto come uno gnomo intinto nel rosso d’uovo. Straordinario Fante: quanti padri avrebbero il coraggio di descrivere cosi il proprio figlio?
Articolo del
28/02/2011 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|