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Fondamentale questo lavoro. Come fondamentale fu il titolo della prima compilation del rap italiano, a produzione Century Vox, anno di grazia 1992. Ma la ricerca di Damir Ivic parte da uno sguardo a 360 gradi sulla cultura hip hop: rap, breakdance, graffiti writing, deejaying; dalle origini negli States con Grandmaster Flash e Afrika Bambaataa, all’esplosione di Fabri Fibra, che tanto farà discutere la scena rap italiana. E in mezzo c’è molto: più di un trentennio di orgoglioso underground, tra sfide e jam; gli scazzi e le risse tra le posse nell’italica penisola, anche a suon di dissing (è ricordato quello di Gue Pequeño di Club Dogo, nei confronti di Militant A di Assalti Frontali e il successivo scambio di missive); la passione infinita di molti eroi, alcuni b-boyz solitari, altri nelle loro ballotte, quasi sempre beautiful losers.
Ma andiamo con ordine. Quattro capitoli: si parte con le basi sulla cultura del movimento hip hop, in cui il rap è solamente una delle arti in movimento; quindi i primi anni ’90 delle Posse, tra avventura e equivoco; il capitolo centrale in cui “le cose cambiano”, con una panoramica territoriale, regionale (Lombardia, Piemonte, Triveneto, Calabria, Isole e Puglia) e locale (Roma, Napoli, Bologna e costa adriatica); quindi la conclusione, in cui “tutto cambia”. E poi vengono presentati gli imperdibili 20 dischi dell’italian rap e/o hip hop (termini “utilizzati in maniera quasi intercambiabile” nel libro, come nota l’Autore): dall’autoproduzione Terra di nessuno di Assalti Frontali, nel 1992, tutt’ora un unanime capolavoro, al Fabri Fibra di Controcultura, con la major Universal, 2010 (passando per un rapper che, ci sia concesso, vorremmo rivedere nuovamente sulla piazza: Lou X) Diciamo anche subito che questo volume, se fossimo in un altro Paese, con il dovuto lavoro di editing, sarebbe anche oggetto di discussioni collettive da parte di b-boyz, studenti e docenti di popular music, perché restituisce trent’anni di storia culturale, generazionale e non, dal punto di vista di un movimento artistico-culturale, fondato su una larga e capillare base di fomentatori e agitatori, che ha conosciuto una diffusione di massa come rare volte è capitato nella stantia “industria” cultural-discografica italica. Per giunta Damir Ivic riesce sapientemente a dosare le proprie ricostruzioni, narrate dall’interno della scena rap (a partire dalla rivista “Aelle”), con molte chiacchierate e interviste ai diretti protagonisti, tra le quali ricordiamo quelle particolarmente emblematiche a Militant A, NextOne, DJ Skizo, DJ Gruff, CapaRezza, Paola Zukar, Phra e Fabri Fibra. Da queste brevi note si capisce quanto sia improbabile una “sintetica” recensione, senza per altro incappare in parzialità e approssimazioni. Ci va soltanto di accennare a un possibile, sottile, filo rosso che lega la old school dei primi anni ’90 all’inizio del secondo decennio del millennio. Sicuramente ci fu una biforcazione iniziale tra la cultura hip hop del Muretto di Milano, dei marciapiedi dinanzi al Regio di Torino e l’antagonismo in movimento delle Posse, che dall’Isola nel Kantiere di Bologna, dal 32 di via dei Volsci e dal Forte Prenestino di Roma, come dal Leo di Milano si diffondevano nelle facoltà occupate dalla Pantera e assaltavano il palco nella manifestazione di Piazza del Popolo di inizio 1990. Così come gli scazzi, assurdi col senno di poi (come nota Ivic), tra il Non ti fidare di Papa Ricky e Frankie Hi-nrg frammentano ulteriormente la scena rap/hip hop degli anni ’90. Ma la spinta dal basso del movimento hip hop può essere rintracciata in quello slogan che compare a caratteri cubitali nel retro del vinile di Onda Rossa Posse (da noi gelosamente custodito dal 1990, data di uscita): “RAP POESIA DELLA STRADA”. Un inno che accomuna i b-boyz dell’intera penisola, dalle strade, alla rete: dal DJ Gruff che dai marciapiedi del Regio andrà a confezionare le basi dell’Isola Posse All Stars e poi Sangue Misto, nei primi ’90; alle ragazze e ragazzi dell’Onda 2008, che faranno de La grande onda di Piotta (2002) la colonna sonora delle mobilitazioni anti-Gelmini; per arrivare al Fabri Fibra, baciato dal troppo successo e perciò osteggiato dai puristi, che nel video di Vip in trip, rende omaggio all’etica punk, ma anche hip hop, del Do It Yourself, rifacendo il video di Rock The Casbah di The Clash e chiudendo con una citazione antifascista di Joe Strummer. E se arriviamo ad oggi ecco l’ultimo capolavoro di Assalti Frontali, Banditi nella sala, in cui Inoki (compagno di strada dello sfortunato Joe Cassano) ed Esa (storico leader degli Otierre, gruppo hip hop attivo a Varese dal 1991), rappano a fianco di Militant A. Ma torneremo presto a parlare del cd Profondo rosso, di Assalti Frontali (Daje Forte Daje Records, 2011).
Così il cerchio si apre a questo nuovo decennio del rap italiano, non dimenticando le radici immerse nella street culture e nella ricerca di autonomia e indipendenza. Riprendendo un graffito di inizi anni ’90, chiudiamo dicendo che il libro di Damir Ivic lo pensiamo dedicato “a chi agita il suo genio e si esibisce da folletto”: massimo rispetto!
Articolo del
08/03/2011 -
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