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Bella idea quella di scrivere un libro sulla “canzone d’autore ai tempi del riflusso”, come recita bene il sottotitolo. Perché ognuno di noi associa i cantautori agli anni Settanta, e invece nel periodo 1980-1989 quelli storici degli anni di piombo hanno continuato a fare dischi, altri nomi sono comparsi sul mercato discografico, la stessa fisionomia della canzone d’autore è mutata poco a poco.
Detto questo, non ci si aspetti un saggio a tutto tondo, l’equivalente, almeno come ambizione, di quel monumento agli anni 80 che è Post punk di Simon Reynolds. E cioè una disamina critica delle tendenze musicali rapportate all’evoluzione della società italiana dell’epoca. Meno ambiziosamente, Bonanno opta per una carrellata anno per anno dei dischi più interessanti, nel bene o nel male, ascrivibili allo pseudo genere della canzone d’autore (“pseudo” non in senso dispregiativo, ma perché non ha coordinate precise), premettendovi una carrellata di notizie, commentata, dei principali eventi, sociali, politici, economici, culturali in senso lato e musicali dell’anno. Che dire? Ci sono lati negativi e lati positivi. Cominciamo da quelli negativi, va’, che poi si chiude in bellezza. I lati negativi sono distinguibili in due categorie: quelli opinabili, perché pertinenti alle specifiche e legittime convinzioni dell’autore, e quelli oggettivi. La prima nota dolente è il numero esponenziale degli errori che un tempo si sarebbero detti tipografici: ma un editor che sappia, ad esempio, che “ombelicale” si scrive con un “l” sola, proprio no? Così ci tocca sorbircelo tre volte. Poi. Parlando di Hotel Supramonte, la canzone in cui Fabrizio De André rievoca il suo rapimento da parte dell’anonima sequestri e la successiva detenzione sulla catena montuosa sarda del Supramonte appunto, Bonanno ha una svista e ci parla di “una possibile risposta al popolo dell’Aspromonte” (p. 49). Che però sta in Calabria. Ancora una volta: "Editor, dove sei”? In seguito, a pagina 142, Bonanno nota la maestria nell’uso di musica e parole da parte di Enrico Ruggeri, anche se quest’ultimo “non avrà mandato a memoria i testi di Marcuse”: difficile, dato che Marcuse è filosofo comunista e Ruggeri è notoriamente cantautore di destra. Certo, la buona cultura vorrebbe che si conoscessero anche i testi con cui non si hanno affinità. Ma, lo ammetto, non ho ancora letto Mein Kampf di Adolf Hitler. Inoltre definisce Gheddafi un leader “marocchino” (p. 143: “Editoooooor!”). E infine afferma che Save A Prayer dei Duran Duran (1982) viene dopo di Wild Boys (1984). Vabbé... È ora di passare ad alcune opinioni di Bonanno, legittime e feconde di discussione, ma, lapalissianamente, opinabili, appunto. Mi sconcertano: la visione negativa di ogni influenza new wave (quando sappiamo che pietre miliari del rock ha prodotto quella stagione) e, in subordine, americana; il fatto che della produzione battistiana Bonanno scelga giustamente di parlare degli album di Panella (a lui Mogol non piace, e poi Una giornata uggiosa, 1980, è il disco più debole di Battisti), ma buchi clamorosamente E già, 1982, i cui testi sono accreditati a Velezia, acronimo di VEronesi LEtizia GraZIA (il nome della moglie al contrario), ma che tutti sanno essere al 90% di Battisti stesso; sempre circa Battisti giudica una novità rivoluzionaria dei dischi con Panella l’andare oltre “i canonici rapporti strofa-ritornello-inciso" (p. 148; e tutta produzione battistiana 1969-1974 che ha fatto, allora?); la considerazione totalmente negativa di Luca Carboni in quanto cantore del “vuoto” degli anni 80 (ma Carboni l’ha cantato con malinconia, mica con entusiasmo!); il suo giudicare il punto debole di Gianna Nannini la voce (!); e, come Donatello, io mi fermo qui. Lati positivi. Bonanno scrive benissimo. E ha delle idee. Anche nel caso si condivida poco di esse, si è spinti a leggere il libro, a vedere che ha scritto nella recensione che segue quella appena letta. E fa venir voglia di (ri)ascoltare i dischi di cui parla, nel bene e nel male. Non è poco, anche se è un lato che piglia poche righe. È un pregio che pochi possiedono e fa una differenza notevole con altri libri.
Giudizio finale? Controverso ma interessante per chiunque, imprescindibile per i seguaci più duri e puri della musica d’autore, quelli per cui la musica è una variabile accessoria e più è nazionale meglio è.
Articolo del
01/04/2011 -
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