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Ci credereste? All’inizio degli anni 60 l’Italia era all’avanguardia nei settori informatico, petrolifero, nucleare e medico. Oggi in ognuno di quei settori facciamo ridere i polli (e non solo in quei settori, ahimé). Che è successo? Come è stato possibile che il nostro sviluppo economico e sociale sia stato scippato della ricerca scientifica, con i risultati che tutti vediamo (fuga dei cervelli all’estero, difficoltà delle nostre industrie a reggere il passo della concorrenza, innovazione zero)?
Marco Pivato racconta in questo bel libro-inchiesta quattro strane storie. Prima storia, quella di Adriano Olivetti, paròn dell’omonima industria di macchine da scrivere, che l’intuizione che sarà l’informatica il settore del futuro: mette su un team di ricercatori originali e all’avanguardia e sforna nel 1959 il primo personal computer della storia, l’Elea 9003. Costo alto, circa 500 milioni di lire, grande come una stanza: ma con il concept del pc su cui state leggendo queste righe. Se ne vendono 40 esemplari nel mondo, tutti a grandi imprese o a enti statali. Lo Stato si congratula con Olivetti, ma resta sostanzialmente indifferente. Anche perché Olivetti è uno politicamente dà fastidio, visto che con il suo Movimento Comunità cerca la terza via tra cattolicesimo e socialismo. Poi Olivetti muore, all’improvviso, d’infarto, in treno, nel 1960. E nel 1961 muore anche Mario Tchou, lo scienziato al suo servizio che ha reso possibile tutto questo e sta già lavorando al primo vero pc. Muore in un incidente molto strano in autostrada, con un camion che gli va addosso. Dopo aver ricevuto minacce e profferte da parte di servizi segreti opposti. Nel 1963 il boom italiano sfuma: comincia la perenne crisi che ci attanaglia. L’Olivetti, passata di mano a un trust di industriali nostrani, svende in quegli proprio il fiore all’occhiello, che fa appena in tempo a presentare nel 1965 P101, il primo vero pc: costo due milioni. Il suo brevetto lo comprerà la General Electric, lo copierà, pagando multa, la Hewlett Packard. La Apple arriverà ultimissima, nel 1975. Che destino potrebbe avuto avere l’Italia se l’Olivetti non avesse abbandonato l’informatica? Seconda storia, molto più nota: quella di Enrico Mattei, cattolico capo partigiano a cui viene affidata la liquidazione dell’Agip. Solo che lui non ci sta. Anzi, scopre metano e petrolio in Val Padana e fonda l’Eni. Soffia alle multinazionali contratti con i Paesi produttori di petrolio, trattandoli meglio, da pari a pari, non con piglio colonialista. Aiuti della politica e della burocrazia? Nessuno. Mattei, che con quello che ha fatto sarà determinante per l’entrata dell’Italia nel G7, si trova a dover pagare mazzette per sveltire la macchina burocratica dello Stato, e questo non nell’interesse suo, ma del Paese. Che, dichiara pubblicamente, vorrebbe vedere uscire dalla Nato, come avrebbe fatto la Francia nel 1966, per metterla a capo del movimento dei non allineati. Lo minacciano di morte e, guarda un po’, il suo aereo salta in aria per una bomba il 27 ottobre 1962, il giorno prima della fine della crisi dei missili di Cuba. Colpevoli? Mai trovati. La terza e quarta storia, quella di Felice Ippolito e del Cnen, il Comitato Nazionale per l'Energia Nucleare, e quella di Domenico Marotta, direttore dell'Istituto Superiore di Sanità, sono molto simili. Il primo gestisce un ente che nessuno vuole perché nessuno comprende l’importanza strategica dell’energia nucleare e porta l’Italia a essere il terzo Paese al mondo nella produzione di energia elettrica dal nucleare; il secondo ha portato all’eccellenza la nostra ricerca medica: inventa il microscopio elettronico, fa del nostro Paese il terzo più grande produttore di penicillina, attrae scienziati stranieri di prestigio assoluto che sgomitano per lavorare qui da noi. Hanno una cosa in comune: non hanno tessere di partito e devono pagare mazzette, come Mattei, per far funzionare una burocrazia che non capisce che cavolo vogliano questi due rompipalle. Nell’Italia dei politici che avevano già conosciuto il delitto Montesi e si preparavano a flirtare con le trame nere, vengono condannati per corruzione.
Ora, io non sono nuclearista. Anzi, voterò “Sì” il 12 giugno. Ma quello che mi sconcerta in tutte queste storie, compresa quella del nucleare, sono gli ostacoli e il disinteresse frapposti dalla politica, dalla burocrazia, dagli imprenditori privati all’avanzare dell’eccellenza in Italia. L’assoluta incapacità di comprendere il nuovo e di adeguare i ritmi delle istituzioni ad esso. “Non lo capisco, non mi fa guadagnare personalmente, lo ostacolo, perché potrebbe farmi perdere il controllo”. Siamo da sempre nelle mani di un branco di incapaci criminali, interessati solo ai soldi subito e senza il mimino senso civico e patriottico (che però pretendono da noi quando gli fa comodo). Un libro da leggere e da far leggere.
Articolo del
17/04/2011 -
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