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Sic transit gloria mundi. Si potrebbe posporre questo sempiterno detto latino (adattando, “così svanisce la gloria in questo mondo”) a titolo e sottotitolo di questa bella biografia critica che Francesco Donadio ha dedicato a quello che oggi è senz’altro il cantautore più dimenticato di tutti e da tutti, il più inattuale (non in senso nietzchiano) e fuori moda, esente da ogni riscoperta critica, buono al massimo per il ballo rigido, finto disinvolto e maccartista di una Mestizia Moratti da saldi elettorali che si agita sorridente al suono della neomaccartista Viva la mamma, proveniente dai cupi anni 80 dell’artista napoletano.
Eppure, nella seconda metà degli anni 70, Bennato era stato il numero uno in Italia: aveva preso il posto della stagione dei festival pop e tenne la corona fino all’avvento dell’era Battiato nel 1981. Poi il declino, l’effimero ritorno al successo nei secondi anni 80, un presente di feste di piazza e collaborazioni che hanno del disperato. Che è successo? Donadio, che scrive una biografia non autorizzata, intervistando meticolosamente tutti i collaboratori di Bennato e spulciando in archivi dimenticati da Dio e dagli uomini da cui cava perle preziose, ha il merito di farcelo scoprire e rivivere. Ne esce un Bennato chiuso, diffidente, sfuggente e pure ambiguo, astuto e abile nello sfruttare un fenomeno e un pubblico (quello dei festival pop) con cui aveva davvero poco in comune, ma che era certamente molto più disposto a entusiasmarsi per il suo sublime e grezzo mix di rock’n’roll e blues di quanto non fosse l’establishment della musica leggera tra anni 60 e 70. Attraverso testimonianze d’epoca e interviste di oggi a chi ha sempre creduto in lui (Sandro Colombini, ad esempio) e a chi lo ha sempre sostenuto (i fratelli Eugenio e Giorgio, nonostante ogni dissapore) diventa chiara l’evoluzione artistica e umana di questo rocker acustico, lo-fi millenni prima che fosse inventato il termine, capace di essere sintonizzato più di tanti altri su alcune onde d’Oltreoceano prima che l’Italia fosse pronta a recepirle, indispensabile e basilare fondatore del rock targato Italia (senza maiuscole, non fraintendiamo), anello di congiunzione tra gli esperimenti battistiani del 1969-1971 e la consegna, suo malgrado, dello scettro di rocker al Guitto di Zocca.
Dimenticato da tutti, dicevo. Schiacciato prima (e tuttora) dal mito di cantautore impegnato per antonomasia che lui stesso ha contribuito a creare nei 70 per poi scagliarsi contro il proprio Golem, e poi dall’aura di innocuo e disimpegnato rocker da egli stesso (ancora una volta!) forgiata negli 80. Oggi Bennato lo associamo a pallose tirate impegnate o a bamboleggianti r’n’r reazionari. Non è così. Bennato è stato un grande artista, interprete forse come nessun altro (o pochi altri, va’) dello Zeitgeist italiano 1974-1980. Il libro di Donadio ce ne fa riscoprire le ragioni e ci invoglia al riascolto. Applausi e chapeau.
Articolo del
08/06/2011 -
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