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I primi tre capitoli di Matita emostatica sono da urlo. Ripercorrendo in breve le strade del rock fino alla morte del movimento hippie nel 1969, Luca Majer straccia in un colpo solo tutti i libri di Guaitamacchi sui delitti rock. in particolare il racconto dei fatti di Cielo Drive e della Manson Family, già letto in tutte le salse, risulta iperavvincente per tutta la serie di fili che Majer riannoda e segue pazientemente rivelando connessioni imprevedibili. Ma Matita emostatica non è l’ennesimo libro sui delitti del rock. Semmai, è un libro sul Delitto per eccellenza nel rock: ovvero l’uccisione sua, del suo senso di brivido, innovazione, sperimentazione, fuga dal precostituito, del suo essere avventura stilistica, esistenziale e sonora avanguardista e popolare al tempo stesso. Movimento progressivo perché in continuo mutamento spazio-temporale.
Majer individua date e luoghi del crimine: sulla scena internazionale, appunto il 1969 del massacro di Cielo Drive, seguito dagli anni delle morti eccellenti del rock, da Jimi (Hendrix) a Jim (Morrison), discettando di complottismo in modo non stupido (anzi!) e senza comunque sposare nessuna tesi, così come il 1979 in cui ci lasciò le penne Sid Vicious e comparvero walkman e cd. C’è una canzone, per Majer, che sintetizza questo passaggio epocale: Ashes To Ashes di David Bowie, 1980, che non a caso chiude la vicenda di Major Tom iniziata nel 1969 e simbolicamente allude alla trasformazione del ruolo della rockstar nella società di massa del Terzo Millennio allora a venire. Majer, ex-musicista d’avanguardia (è allegato un piacevole cd con le sue sperimentazioni sonore, in cui si sente tutta l’innovazione kraut, jazz e Eighties dei tempi che furono), è stato anche un giornalista musicale: e la sua scrittura sopraffina riesce a legare alle vicende prometeiche del rock la narrazione della morte dello spirito rock in Italia (ma era davvero mai nato? Era davvero mai stato di massa? Perché oggi i vecchietti non si ritrovano commossi a sagre in cui cantano commossi Locomotive Breath dei Jethro Tull o Impressioni di settembre della PFM, invece che la stucchevole e mielosa Io vagabondo dei Nomadi?), col suo ritardo storico per cui il nostro Altamont fu il Parco Lambro 1976, la nostra Kent State University dell’Ohio fu la repressione del Movimento del ’77, la nostra morte di Morrison o di Vicious fu quella di Stratos nel 1979. E non solo: alla rievocazione commossa del proprio apprendistato musicale, della sua “carriera” che mai decollò e al cui sogno a un certo punto rinunciò. Cosa di cui in linea di principio non ci potrebbe fregare di meno e che nulla aggiunge in sé alla conoscenza del periodo. Ma il miracolo del libro di Majer è questo: la sua diventa una storia tra le storie, che tutte unite fanno la Storia del rock. tutto si giustifica, tutto si tiene, tutto si legge piacevolmente. Certo, non allo stesso modo: nelle parti dedicate alla grande Storia del rock si fatica a staccare le pupille dalla pagina, meno quando si narrano le vicende di oscuri avanguardisti concettuali. Quasi una nuova Storia leggendaria della musica rock di Riccardo Bertoncelli (non a caso la temperie culturale originaria è la stessa), ma più sulfurea e anelante a non esserlo. Peccato, perché quella di Majer non è solo narrazione cronistorica, ma messe feconda di spunti critici che vorremmo veder dedicata alla ricostruzione critica delle vicende del rock italiano. In questo caso, Majer potrebbe regalare all’Italia ciò che le manca: un libro della levatura di Post-punk di Simon Reynolds.
Qualche erroretto qua e là si poteva evitare facilmente (ad esempio, Lenin non concentrò tutto il potere nelle sue mani nel 1927: era morto da tre anni), ma in generale l’opera, pur non essenziale, è caldamente consigliata a chi desidera prospettive nuove e spunti di riflessione non banali.
Articolo del
16/06/2011 -
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