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Stephen Davis non ha bisogno di presentazioni, se cosi non fosse è un problema vostro non mio, documentatevi ma non prima di esservi vergognati almeno un po’. Nato dalla penna di questo giornalista musicale, e dai taccuini persi trent’anni fa e poi magicamente ritrovati, LZ-’75 è il resoconto del folle tour che i Led Zeppelin hanno tenuto nel 1975 in America. Se avevate letto Il Martello degli Dei, mastodontica e fortunata biografia del dirigibile, vi ritroverete catapultati nella scrittura di Davis precisa, tagliente e ricca di aneddoti su quella che, ad oggi, risulta essere la più potente band che l’hard rock abbia mai concepito.
Ritrovatosi di colpo sullo Starship, un Boeing 727 riadattato alle necessita di una band dall’ego stellare, per scrivere un articolo su rockers con cui la stampa non voleva avere assolutamente a che fare (visti i precedenti delle orge a base di “squalo”) Davis ci fornisce un dettagliato racconto su ciò che i quattro cavalieri del Valhalla, e il loro entourage, combinarono in quel tour che prese l’America per la gola senza, peraltro, avere un disco. L’intero racconto si snoda fra concerti di una superiorità schiacciante alternati a flop legati alla stanchezza, al logorio della vita on the road. Stephen ci fornisce il quadro completo di eccessi inarrivabili, della solitudine, dalla lontananza dalle famiglie, una band esiliata dal suo paese per sfuggire alla potente pressione fiscale anglosassone. Il ritratto di Bonzo, gigante infallibile ritmicamente ma con una seconda personalità violenta legata all’alcool che gli è costato il soprannome la Bestia (accuratamente escluso da ogni festa per il timore che demolisse tutto con la sua furia), risulta quasi infantile e tenero. LZ-’75 è un libro per fan(atici) che approfondisce la storia del dirigibile più pazzo del mondo, di quello che ha volato più in alto di tutti (grazie anche alle illimitate strisce di magica polvere peruviana) e che nel 1980 è precipitato sotto gli ultimi colpi di Bonzo, ritrovato morto soffocato dal suo stesso vomito. La scrittura di Davis risulta fresca e scorrevole, capace di cogliere gli aspetti di un’America in adorazione ma soprattutto le nuove leve che in Inghilterra iniziavano a minare il regno costruito da questi mostri sacri, considerati dai punk come “vecchie scorregge noiose”. La vera rivoluzione punk è ancora lontana ma se ne può cogliere l’eco, gli Zeppelin per fortuna sono ancora all’apice del loro successo, le disgrazie lontane. Il conto da pagare arriverà, con calma, due anni dopo: l’incidente della famiglia Plant a Rodi riporterà tutti con i piedi per terra, la dipendenza di eroina di Page porterà la band in un disastroso tour del ’77, interrotto dopo la morte misteriosa di Karac, primogenito di Robert “Percey“ Plant.
Davis chiude il suo lavoro con una breve analisi della tanto agognata, e mancata, reunion tirando quasi un sospiro di sollievo. Il paragone con gli Zeps superstiti non avrebbe retto, almeno non secondo l’autore che ne ha visto l’apice e il volo lì dove nessuno ha neanche lontanamente immaginato si potesse arrivare. In quel ’75 in cui tutto poteva succedere gli Zeppelin erano gli dei incontrastati di una musica da cui persino William Borroughs rimase totalmente affascinato. Tutto si svolse in quell’anno feroce durante il quale il “martello” dettava la sua legge fatta di rumore blues orgasmico, di chitarre lancinanti, urla scorticanti e sezione ritmica simile all’urlo delle fauci di un inferno spalancato. LZ-’75 è uno scrigno inestimabile per i fan, imprescindibile per chiunque ami approfondire la musica di questa formidabile band.
Articolo del
13/06/2011 -
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