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Ligabue è ormai da vent’anni un’icona (se non addirittura l’icona) indiscussa del panorama rock italiano, da quando cioè, sulla scia discendente di eroi anni ’80 come Vasco Rossi o Litifiba ha incarnato almeno per il grosso pubblico, l’immagine del rocker italiano per antonomasia, capace di sventagliare chitarre elettriche, voce rauca e potente, e racconti di provincia da milioni di dischi venduti e stadi pieni praticamente quasi sempre. Raccontarne la storia, i passaggi decisivi, i dischi belli, meno belli e brutti, i cambiamenti e l’evoluzione musicale è opera che soprattutto nella seconda metà di questo ventennio è stata fatta in un lungo e in largo, e probabilmente una nuova uscita editoriale su questa falsariga difficilmente potrebbe aggiungere qualcosa di veramente nuovo. Patrizia De Rossi, giornalista e conduttrice radiofonica su Radio Rai, M100 e Radio Città Futura (laureata nel 1987 con tesi in letteratura nord-americana dal titolo La poesia di Bruce Springsteen, nonché già autrice di un libro sul Liga, dal titolo Certe notti sogno Elvis, probabilmente il primo libro in assoluto dedicato all’analisi dell’opera di Luciano Ligabue, e pubblicato nel 1995 quando la fama e la popolarità del rocker di Correggio non erano quelle di oggi) ha deciso così di pubblicare un libro che parla sì di Ligabue, ma senza tracciarne un profilo biografico o comunque seguire pedissequamente il percorso suggerito dal susseguirsi della pubblicazione dei dischi.
L’autrice ha invece individuato 7 direzioni, 7 direttrici che ha voluto definire come le 7 anime di Ligabue, partendo dall’importanza simbolica (ma non solo) che ha il numero 7 nella vita del musicista emiliano (e che viene illustrata con dovizia di sorprendenti e curiosi particolari nel prologo del libro). La prima, e forse la più evidente è l’anima rock, quella del musicista, del frontman con la chitarra tracolla, ma anche dell’autore rock, capace di mostrare senza troppi pudori le proprie sensazioni, la propria dirompente vitalità, sia nello scrivere canzoni che nello stare su un palco. Sono le parole dello stesso Ligabue (che spesso viene citato tra virgolette nel libro, a contribuire in maniera determinante ad autodefinirsi) a riportare una significativa definizione di essere rock: “Rock per me, per come lo intendo e per come l’ho sempre vissuto io, è chi se ne frega del pudore rispetto alle proprie idee e ai propri sentimenti.” La seconda direzione individuata dall’autrice è quella dedicata ai film, fatti, e visti, ed è ovviamente l’anima cinematografica. Il Liga, grande appassionato di cinema (“ho visto circa tremila film in vita mia”) spesso è stato in grado (soprattutto all’inizio della sua carriera, molto meno adesso a parere del sottoscritto) di raccontare le proprie canzoni quasi come sequenze da film, con la qualità e la capacità non da poco di riuscire a “far vedere” le scene raccontate, magari con poche pennellate che insieme alla musica diventavano dei veri e propri film di 3 minuti: “Molti suoi brani sono dei piccoli film, mini-soggetti che raccontano una storia. Immagini dirette, flashback, cambi di scena continui, dialoghi serrati, il tutto racchiuso in tre minuti o poco più”. Ma ovviamente la De Rossi racconta in questo capitolo (e lo fa con dovizia di particolari e con tanti riferimenti e curiosità sulla genesi e sulle motivazioni che hanno spinto alla realizzazione) come il musicista di Correggio sia arrivato poi a dirigere davvero un lungometraggio come Radiofreccia, autentico piccolo gioiellino di cinema italiano che fotografa perfettamente quella provincia emiliana di fine anni ’70, e autentico miracolo tenuto conto che si trattava di un’opera prima, e il meno brillante Dazeroadieci, seconda e al momento ultima opera cinematografica del Liga. Il terzo capitolo è dedicato invece all’anima letteraria, che per il Luciano nazionale si traduce in una grande passione per la lettura (“dai fumetti ai classici dell’Ottocento russo, dai poeti della beat generation ai contemporanei italiani”) e soprattutto nella realizzazione di una raccolta di racconti, una di poesie e infine un romanzo. Se il volume di racconti Fuori e dentro il borgo, trae spunto dalle “storie del borgo, quelle sentite al bar, quelle vissute dagli amici, quelle leggendarie che circolano da sempre nelle parole dei vecchi del paese, quelle di cui lui stesso è stato protagonista nell’infanzia, quelle che ha condiviso nell’adolescenza” e devono molto anche alla conoscenza di Pier Vittorio Tondelli anche lui di Correggio, il romanzo La neve se ne frega è invece un romanzo futurista, ambientato nel 2179, e ricorda e rimanda a romanzi come 1984 di Orwell, In senso inverso di Philip Dick, Fahrenheit 451 di Bradbury, e soprattutto Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley, riprendendo in parte tra l’altro una canzone dello stesso Ligabue, Anime in plexiglass, pubblicata nel suo secondo disco Lambrusco, coltelli, rose e pop corn. Meno collocabile invece appare, anche dalla presentazione della De Rossi, la raccolta di poesie Lettere d’amore nel frigo. “Fatto sta che mi son preso la licenza di scrivere queste poesie. (...) con le poesie mi son preso una vacanza (…) dal dover pensare di essere popolare. Con le poesie ho fatto una roba tipo “chi le capisce, le capisce”. Nel capitolo quarto, l’anima femminile, del rocker di Correggio viene descritta invece la capacità di raccontare, spesso attraverso il suo lato più sensibile, l’universo femminile, attraverso racconti che parlano di donne o di aspetti femminei del mondo: da Piccola stella senza cielo a Le donne lo sanno, passando attraverso Quella che non sei, le canzoni di Ligabue sono ricche di ritratti femminili o che hanno a che fare con la femminilità del mondo e nel vedere e descrivere le cose, che, la De Rossi sottolinea, spesso sorprendono per la capacità del loro autore di tradurre in versi e musica una sensibilità e una accortezza nella resa dei particolari tipica più delle donne o di un animo appunto femminile. Significativa in questo contesto è la bella carrellata di Il giorno dei giorni che l’autrice descrive come la “sublimazione della superiorità femminile” in cui Liga elenca una serie di elementi fondamentali della vita, tutti rigorosamente al femminile “la terra, la guerra, la pace, la croce, la voce, la sorte, la morte, la vita, l’entrata, l’uscita, le carte”. Il capitolo dedicato all’anima passionale del musicista emiliano mette invece in evidenza gli aspetti più carnali e appunto passionali della sua musica e della sua opera, partendo proprio dall’”educazione catto-comunista che lo ha riempito di sensi di colpa”, e alla quale Liga ha sempre risposto strizzando “l’occhio alla sensualità, al godimento, alla passionalità”. Partendo da Balliamo sul Mondo e Libera nos a malo, fino alla produzione ultima, in questo senso la musica di Ligabue ha sempre raccontato di passione e godimento dei sensi come elementi fondanti di una certa poetica e un certo modo di vivere la propria vita. Più curioso invece il percorso e i tratti che la De Rossi attribuisce all’anima romantica del rocker. Sui primi dischi, emozioni e romance, venivano dedicati “soprattutto al sesso, alla sua terra, a certe atmosfere e suggestioni, soprattutto notturne, che gli servivano per sognare intensamente e vivere di conseguenza”. Si pensi a Regalami il tuo sogno o Ho messo via, che raccontavano sentimenti legati alla fiducia, al desiderio di protezione o al bisogno di un legame forte con le proprie origini per poter affermare sé stessi, o anche alla famosissima Certe notti. Col tempo, racconta il libro, il romanticismo è diventato adulto, passando attraverso lutti (Il giorno di dolore che uno ha), amori finiti (L’amore conta) o semplicemente il racconto dell’amore per una compagna (Viva, Ti sento, Tutte le strade portano a te ecc.). Infine l’anima politica, che partendo da un presupposto assodato, “Ligabue come uomo e artista di sinistra non è una novità per nessuno”, ne delinea tutte le scelte liriche, discografiche e di partecipazione attiva, che tracciano il quadro “sociale” e appunto politico nel senso più nobile del termine. Dalle invettive neanche troppo celate contro certo “imperialismo” (culturale e non) americano, alla partecipazione a diverse feste del 1° maggio, alla pubblicazione insieme a Piero Pelù e Jovanotti del singolo Il mio nome è mai più, con proventi devoluti ad Emergency. Fino ad arrivare a Buonanotte all’Italia, ritratto non privo di un pizzico di retorica di troppo e forse di un po’ poca ispirazione musicale, a parere del sottoscritto, o a canzoni come La verità è una scelta che nell’ultimo disco in studio, Arrivederci, mostro!, mettono a nudo le ipocrisie e le falsità di chi troppo spesso fa finta di non sapere e sceglie di non provare a conoscere la verità (tra l’altro con una delle prove musicali più riuscite del Ligabue degli ultimi anni).
In definitiva, i 7 percorsi descritti da Patrizia De Rossi hanno il gran merito di provare a raccontare un Ligabue trasversale, unendo diversi punti rossi che attraversano, da un disco all’altro, da una produzione editoriale ad una cinematografica, l’universo del Luciano di Correggio, e l’operazione in questo senso incuriosisce e traccia dei collegamenti di grande interesse e tutt’altro che scontati o prevedibili. Di contro, va detto che questo Quante cose che non sai di me – Le 7 anime di Ligabue lascia, oltre al piacere di provare a vedere il Liga da altre angolazioni, la sensazione che a parere dell’autrice, alla fine il talento strabordante di Ligabue non fallisca un colpo e riesca sempre, qualunque ambito e qualunque sfumatura voglia dare al proprio lavoro. E questo con tutto l’affetto e la stima per il musicista emiliano (e anche nonostante la qualità a nostro parere di tanto del suo operato musicale e non, soprattutto nella prima parte della carriera ) appare a tratti una forzatura eccessiva, che finisce col non evidenziare certi limiti che inevitabilmente appartengono anche a lui, non fosse che ogni artista ha i propri, e le proprie immancabili battute a vuoto quando gli anni di attività cominciano a essere oltre venti. E siamo certi, che con la sua genuina onestà lo stesso Ligabue non avrebbe difficoltà ad ammetterlo e apprezzerebbe certamente che quando c’è da parlare o scrivere di lui si ricordassero anche questi difetti e questi limiti, senza nasconderlo troppo spesso dietro l’elogio incondizionato del mito.
Articolo del
15/06/2011 -
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