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Era lungamente atteso questo memoir di Keith Richards, nella speranza che il chitarrista fondatore dei Rolling Stones, oggi 67enne, facesse (ulteriore) luce su tante vicende della band di cui condivide la leadership da quasi cinquant’anni con Mick Jagger. E invece, va subito detto, Life sul piano della storiografia musicale delude assai: “Keef” – come tutti lo chiamano – ci racconta nulla o quasi che già non sapessimo e/o che non fosse già stato sviscerato nei circa cento volumi monografici usciti in precedenza sugli Stones. Life è povero di dati e di racconti, in particolare, sugli anni Sessanta: vale probabilmente anche per Richards il famoso detto popolare secondo il quale “i Sixties, se te li ricordi, vuol dire che non c’eri”. In più va aggiunto che Keef, a partire dalla fine di quel decennio fino almeno ai primi anni Ottanta, ha passato le giornate avvolto in una nube tossica provocata dalla sua ben nota dipendenza dall’eroina: roba tosta, da junkie all’ultimo stadio, tanto da farti chiedere più volte durante la lettura come in quelle condizioni riuscisse non solo a “funzionare” ma anche a portare avanti, insieme al più “sobrio” (almeno al confronto) Mick Jagger, una megaband come i Rolling Stones oltre a comporre alcuni dei più indimenticabili riff di tutti i tempi.
Be’, tutto questo alla fine Richards ce lo spiega. Se per ripercorrere la storia degli Stones deve spesso ricorrere a ricordi (e libri, come nel caso dell’ex manager Andrew Loog Oldham) altrui, la lettura si fa più avvincente quando Richards racconta gli aspetti privati della sua vita, a cui sono dedicate una buona metà delle 500 e passa pagine vergate in un tono discorsivo e (apparentemente) sincero con la complicità del giornalista James Fox. Richards racconta così la sua infanzia nel quartiere periferico londinese di Dartford, la sua passione per la musica, l’incontro epocale con Mick Jagger su un vagone del treno. Si sofferma sullo strano rapporto tra i genitori, separati - ma all’inizio non ufficialmente - una volta che lui raggiunse la maggior età. E poi i primi bedsits londinesi condivisi con Mick e Brian Jones, la firma con l’etichetta Decca per il tramite dello svengali Loog Oldham, il successo locale e quindi internazionale. Sugli Stones, come detto, vengono ripetute cose che già si sapevano: il riff di Satisfaction creato negli USA una notte venutogli come in un sogno, Muddy Waters conosciuto negli uffici della Chess di Chicago mentre imbiancava le pareti, ecc. ecc. E’ interessante, invece, come per tutto il libro Keith insista nel voler confermare il suo status di “Stone con i piedi per terra”, a confronto naturalmente con Mick la star un po’ arrogantella. Proprio il rapporto tra i Glimmer Twins risulta, alla fine, tra gli aspetti più singolari: Keef definisce Mick “un fratello”, uno per cui darebbe anche la vita, ma poi non esita a criticarne pesantemente alcuni atteggiamenti, specialmente dagli anni Ottanta in poi. Racconta un po’ tutto, Keef, senza peli sulla lingua: i periodi di “bassa” e anche quelli di aperta guerriglia, e poi anche le tante recenti riconciliazioni. L’impressione è quella di un profondo affetto, ma anche di una sfrenata competizione tra i due, non sempre sana. E si resta con l’idea che tra Mick e Keith permanga, tuttora, qualcosa di irrisolto. Richards adora Charlie Watts e conferma la simpatia per Ron Wood mentre dice di non aver mai avuto nulla in comune, caratterialmente, né con il riservato Mick Taylor né con Bill Wyman a cui riserva solo un distaccato disprezzo. Sorprende per la mancanza di pietà il suo giudizio su Brian Jones: un presuntuoso incapace di gestire vita, donne e droghe, la cui morte (ufficialmente per annegamento, una tesi a cui Keef dà credito) è stato il naturale epilogo di un essere umano già in chiara fase discendente.
E poi, naturalmente, ci sono tutti i racconti sulla droga, anzi, sulle droghe, che hanno accompagnato Richards per tutta la fase più creativa della sua carriera. Keef nega che tra le due cose ci sia un rapporto di causa e effetto, spiega di averle sempre usate con estrema cautela per non andare in overdose (come accaduto a numerosi suoi contemporanei) e afferma di essere “pulito” dalla fine degli anni Settanta (ove il termine “pulito”, anche sulla base di suoi ulteriori racconti, contiene un certo margine di imprecisione...). E alla fine, Keef pare quasi lanciare un timido messaggio anti-droga. “Timido” com’è ovvio che sia, perché... insomma... alla fine si tratta pur sempre di Keith Richards...!! Al contrario, è più efficace di qualsiasi messaggio a bocce ferme il resoconto delle avventure con la sua compagna Anita Pallenberg, ex-attrice anch’ella tossicodipendente all’ultimo stadio. E’ la parte del libro più shockante, soprattutto perché coinvolge i due figli della coppia Marlon e Angela (la Angie della canzone). Si resta basiti nel leggere di questi due minorenni costretti a convivere con due adulti alla perenne caccia della prossima dose oltreché ad assistere a incursioni della polizia in piena notte e a una sequenza di episodi raccapriccianti, e non si può far a meno di temere per la psiche dei poveri bambini. Senonchè, fortunatamente, a un certo punto Keith e Anita sembrano avere un momento di lucidità e affidano i piccoli a Doris e Bert, i genitori di Richards. E oggi, a quanto ci dice Keith, Marlon e Anita sono due adulti sani, nel fisico oltre che nella mente (sebbene Marlon, intervistato da Fox per il libro, abbia delle vere e proprie horror stories della propria infanzia da raccontare). Speriamo sia vero.
Life è, in definitiva, l’autobiografia di un sopravvissuto. Uno che durante gli anni Ottanta è riuscito anche a costruirsi una famiglia quasi “normale” (con la modella Patti Hansen e altre due figlie) andando a vivere - di tutti i posti! - nel Connecticut, e che nonostante gli alti e bassi dei suoi rapporti con Jagger continua a svolgere il lavoro forse più bello al mondo, quello di chitarrista dei Rolling Stones. Una preziosa aggiunta alla bibliografia stonesiana quindi, sebbene sia utile più per capire un uomo tuttora molto amato che per ottenere inedite illuminazioni su quella che resta, a detta di tutti, la “più grande rock’n’roll band di tutti i tempi ®”.
Articolo del
05/08/2011 -
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