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Dopo un periodo in cui era (assurdamente) scomparso da tutti i radar, negli ultimi tempi di Lucio Dalla si sta tornando a parlare spesso e volentieri per via, soprattutto, della recente tournèe in coppia con Francesco De Gregori, un successone di pubblico e di critica che si è concluso con il bagno finale di folla al concertone romano del Primo Maggio. Giunge quindi a fagiolo questo volume di Michele Monina che, pur non essendo la tradizionale “solita” biografia, si propone come da sottotitolo di mettere alcuni puntini sulle “i” in relazione alla “vita e canzoni di Lucio Dalla”.
Monina - molti di voi lo conosceranno - è un eclettico capace di biografare non solo Fabri Fibra e Lady Gaga, Ramazzotti e la Pausini, ma anche Michael Stipe e i R.E.M., sempre in uno stile agile e immediatamente riconoscibile. Dalla, però, apprendiamo, è un caso speciale: una delle sue prime passioni giovanili, uno degli artisti che a suo tempo, verso la fine degli anni Settanta, fecero scattare nel giovane Monina la passione per la musica e per la scrittura: “Senza l’album "Lucio Dalla" (quello ingiustamente ricordato per "L’anno che verrà")”, sostiene, “[…] io a quest’ora probabilmente starei a guidare gli autobus della mia città, invece che a occuparmi di musica”. L’affetto dell’autore per il suo soggetto è pertanto palese e a più riprese esplicitato, anche se Monina all’artista bolognese non concede sconti, anzi, al contrario: degli ultimi vent’anni salva solo l’album Henna (1993) e poco altro; e fa capire di non trovare particolarmente belli i dischi (“difficili”...?) incisi nella fase centrale degli anni Settanta - quelli in cui Dalla fu assistito, dal punto di vista delle liriche, dal poeta Roberto Roversi - a cui dedica solo una manciata di pagine. L’ammirazione di Monina (e un’abbondante percentuale delle pagine del libro) è riservata soprattutto alla tetralogia di fine anni Settanta, in cui un ormai maturato Dalla divenne uno dei massimi cantautori italiani, oltreché uno dei nostri artisti più versatili di sempre (una sorta di Prince nostrano, secondo l’autore), capace di spaziare dal rock al jazz, dall’opera alla canzone d’autore: Com’è profondo il mare (1977), Lucio Dalla (1978), Banana Republic con De Gregori (1979) e Dalla (1980), ovvero “quattro album che segneranno questo periodo, portando Lucio Dalla dall’essere un cantante buffo e bravo all’essere il numero uno assoluto del nostro panorama musicale, uomo da milioni di dischi venduti, da tour sempre sold-out, portatore sano di una poetica divenuta riconoscibile per tutti, la sua”.
Come detto, l’autore possiede una bella penna, e Così mi distraggo un po’ si fa leggere tutto d’un fiato. Sull’altro piatto della bilancia, però, non si può non rilevare che il testo presenta molte (troppe) divagazioni su (suoi) fatti personali, spesso inessenziali. Monina le giustifica citando a mo' di ispirazione il Nick Kent di Apathy For The Devil, ma è un paragone che non regge granché: un conto infatti è raccontare la propria relazione con Chrissie Hynde futura leader dei Pretenders o i “buchi” in compagnia di Sid Vicious bassista dei Sex Pistols, un altro è affliggere il lettore con i ricordi della propria adolescenza sui banchi del liceo diocesano di Ancona, che con Dalla poco ci azzecca. Imperdonabile, poi, il fatto che Monina non citi nemmeno una volta il nome di Sandro Colombini, produttore (in precedenza già con Battisti, il Banco e Bennato) dei famosi 4 LP che lanciarono Dalla nell’empireo dei grandi della musica italiana, e il cui apporto, a giudicare anche sulla base della produzione successiva, fu determinante.
Queste (dovute) notazioni nulla levano, tuttavia, al lavoro di documentazione e alla brillante esposizione di Monina: Così mi distraggo un po’ resta un libro altamente consigliato, sia a chi di Dalla sa poco o nulla e desidera esplorare la vita e la carriera di uno dei “senatori” della musica italiana, sia a chi lo ama o lo ha amato e vuole ripercorrere e approfondire una parabola quasi cinquantennale in cui il cantante/autore bolognese ha conosciuto, come tutti, alti e bassi, ma a differenza di tanti altri non ha (quasi) mai conosciuto l’onta della banalità. Onore quindi all’autore, e - nelle sue stesse parole - “onore a Lucio Dalla, “tutta la vita a far suonare un pianoforte…””
Articolo del
01/09/2011 -
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