|
In occasione dei settant’anni di Bob Dylan, compiuti lo scorso 24 maggio, sono stati pubblicati anche in Italia diversi volumi, biografici e non. Questo è uno dei migliori.
Il segreto di The Ballad Of Bob Dylan è che non si tratta della solita biografia - ne sono uscite a centinaia e ormai, dopo le due pressoché definitive di Clinton Heylin e di Howard Sounes, su Dylan c’è ben poco da scrivere e da scoprire - né di una pedante disamina della sua opera con annessi excursus storico-sociali alla Greil Marcus. Daniel Mark Epstein utilizza una tecnica differente: prende spunto da quattro concerti (“epocali”) a cui ha assistito in momenti anche molto distanti fra loro, e ne approfitta, sì, per ripercorrere la vita dell’artista, ma anche e soprattutto per illuminare alcuni recessi dell’opera del Bardo che erano rimasti finora nascosti. Così com’è concepito e scritto (in 4 parti), The Ballad Of Bob Dylan è un libro che si può fruire anche a pezzi, magari concentrandosi solo sulla fase della carriera di Dylan che interessa maggiormente. C’è una parte, però, che è assolutamente imperdibile: quella iniziale, in cui si racconta il prima, il durante e il dopo del concerto tenuto da un giovanissimo Bob Dylan (22 anni), da solo con la sua chitarra e l’armonica, al Lisner Auditorium di Washington D.C. il 14 dicembre 1963. E’ una lettura assolutamente obbligata se si vuole capire a fondo per quale motivo il primo Dylan, quello folk-acustico, diventò il portavoce di una generazione, e quali furono i meccanismi per cui quel menestrello magrolino e mal vestito riuscì a far fermare, riflettere e pensare tantissimi ragazzi americani cresciuti nell’ambivalenza tra il sogno americano e la greve cappa incombente della Guerra Fredda. Sono pagine splendide, quelle del concerto di Washington, descritto nei più minimi dettagli benché Epstein all’epoca avesse solo quindici anni e ci fosse potuto andare solo accompagnato dalla mamma. Ma la ragione per cui la narrazione di Epstein risulta così vivida e illuminante è che lui - ragazzino ebreo middle class della East Coast, tendenzialmente liberal, aspirante intellettuale – a quei tempi rappresentava alla perfezione il pubblico di riferimento di Dylan. La musica e il verbo dylaniano (quei versi che ammonivano e biblicamente profetizzavano, ma anche spietatamente ironizzavano) per quelli come Epstein erano vera manna dal cielo: la speranza, ma forse anche la certezza, che i Sixties sarebbero stati qualcosa di diverso (e presumibilmente di migliore) dai Fifties. Quella performance Epstein la inserisce sia nel contesto mondiale che personale di Dylan, e anche nel proprio. Meno di due mesi prima Kennedy era stato ucciso a Dallas e l’America era ancora in lutto. Dylan intanto si era dolorosamente separato dalla fidanzata Suze Rotolo finendo tra le braccia di Joan Baez. Ma anche lei sarebbe durata poco: a breve le liriche di Bob sarebbero diventate poetiche e impressionistiche e la chitarra acustica e il folk avrebbero lasciato il passo all’elettrica e al rock’n’roll. L’esibizione al Lisner Auditorium è quindi da considerare una delle ultime del Dylan cantautore folk “impegnato”, l’atto finale di un’epoca che prima d’ora non era, forse, mai stata raccontata così bene.
Da vero figlio del “folk-boom”, Epstein riversa un’intensa passione in queste prime pagine. Naturale, pertanto, che le altre tre parti (e le altre tre esibizioni a cui ha assistito) risultino un po’ meno sentite. Si ha in particolare l’impressione che il Dylan elettrico in compagnia della Band (visto al Madison Square Garden di New York il 30 gennaio 1974) non sia del tutto nelle sue corde; ma anche questo concerto, come i due successivi (il 4 agosto 1997 a Tanglewood nel Massachussets e il 24 luglio 2009 a Aberdeen nel Maryland) gli offrono più di un’occasione per rievocare, analizzare e meglio comprendere la carriera e l’opera di un’artista determinante per l’evoluzione della musica moderna popolare. Anche quando affronta l’ultima, recente versione di Dylan - il bluesman settantenne in giro per il mondo con il Never Ending Tour - Epstein riesce a non essere né banale né ripetitivo (impresa ardua quando si scrive di un soggetto già abbondantemente sviscerato) e a dare alle nuove e soprattutto alle vecchie canzoni del Bardo – che chiaramente sono quelle che più gli stanno a cuore - inserite nel moderno contesto neomillenario e obamiano, inediti significati e originali interpretazioni.
Un acquisto irrinunciabile, per chi ha voglia di capire chi è Dylan oggi. E, soprattutto, chi era ieri.
Articolo del
02/09/2011 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|