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2002, Danimarca. Scompare nel nulla Merete Lyngaard, giovane, bella, capace e intelligente parlamentare di sinistra, possibile leader vincente della coalizione dell’opposizione alle prossime elezioni, contro il governo di centrodestra. 2007, Copenhagen. Il governo di centrodestra, ancora in carica, anche se non amato, reclama maggiori risultati da parte della polizia. Si decide di creare la “Sezione Q”, destinata ai casi insoluti. Ci andrà il detective Carl Mørck, bravo, ma inviso a tutti i colleghi. Gli toccheranno 40 casi insoluti. Il primo che si deciderà a risolvere sarà proprio quello della Lyngaard, scegliendolo a caso. Comincerà una inconsapevole corsa contro il tempo, perché tutti credono la parlamentare morta e invece, come ci informa il prologo, è ancora viva. Tenuta in gabbia. Con una condanna a morte che sta per essere eseguita.
Meccanismo inesorabile, quello escogitato da Adler-Olsen, che avvince il lettore senza speranza alcuna di staccarsi dal libro. Notti insonni vi attendono: siete avvertiti. Ma questo di Adler-Olsen non è solamente un giallo estremamente coinvolgente. Ci sono un paio di cose di più. La prima non è prevista dall’autore, e può verificarsi solo nella mente di un lettore italiano. Considerazioni come quella che porta gli investigatori danesi a escludere il rapimento a scopo di estorsione (cito a memoria: “È una parlamentare. Non ha soldi”) prima fanno ridere. Poi piangere. Per come siamo messi noi. Adler-Olsen vuole darci l’idea che ci sia del marcio in Danimarca: quando il centrodestra ventila l’ipotesi di costituire la sezione Q, ai capi della centrale di polizia di Copenhagen viene l’idea di prendere due piccioni con una fava: sbarazzarsi dello scomodo Carl Mørck e ottenere cinque milioni di corone di finanziamento, destinandone uno solo alla “Sezione Q”. E qui già immaginiamo che fine faranno, abituati alle cronache italiane. Invece no. I “corrotti” poliziotti danesi pensano di destinare i quattro milioni di corone alla centrale di polizia, che ha bisogno i soldi in più che il governo non gli vuole dare. Ok, avete già aperto il gas? La seconda è il fatto che Merete Lyngaard è in gabbia. Purtroppo non posso addentrarmi nei dettagli della trama, perché, trattandosi di un giallo, rovinerei al lettore il piacere di leggerlo. Segnalo però questa chiave di lettura, non immediatamente evidente ma innegabilmente presente. Merete Lyngaard è sempre stata in gabbia e forse sempre vi starà. Per il segreto che la sua vita pubblica nasconde e che la obbliga a tornare a casa ogni sera alle 18; per l’oscura colpa che le verrà rinfacciata; e per altro, che non posso ovviamente svelare. Cosa terribilmente ingiusta, viste tutte le qualità che questa donna possiede. In un certo senso, conscio oppure no, La donna in gabbia è la riproposizione moderna, in forma di giallo di antichi miti: Merete è la forma danese di Margherita. E Santa Margherita, vergine e martire, fu proprio incarcerata e visitata in cella dal demonio, che le apparve sotto forma di drago e la inghiottì (l’ingabbiamento supremo, se ci pensiamo). Margherita è nome greco, che significa perla. E i draghi, nella tradizione occidentale, sono i guardiani dei tesori. Ecco: Merete Lyngaard è una perla di ragazza, un tesoro, se ci si pensa bene, che non può rivelarsi al mondo. E tutti i suoi guai derivano in qualche forma da un contrasto con degli uomini che, per un motivo o per l’altro, vogliono ingabbiarla (e guarda caso, il Drago esprime simbolicamente, nella tradizione orientale, il principio maschile). La storia di Merete è in qualche modo, profondo, simbolico, la storia del genere femminile che cerca di liberarsi e fiorire, ma deve scontrarsi con un potere maschile negativo, aggressivo, immaturo, annientante, che la vuole sottomessa e ingabbiata in un ruolo biologico: madre o sorella. E non è forse neppure un caso che il suo soccorritore si chiami Carl, nome il cui significato è “uomo”, adulto, maturo. Solo l’incontro con un uomo privo di brame di potere (caratteristica del detective Carl Mørck, peraltro aiutato dall’etimologicamente e praticamente fortunato Assad) può forse aiutare la donna a emanciparsi anch’essa?
Fatto sta che tutto questo, in qualche modo, agisce dentro di noi, risvegliando archetipi ancestrali. E contribuisce non poco al fascino del libro.
Articolo del
14/10/2011 -
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