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Mauro Gurlino, in arte Mao, è stato uno dei migliori musicisti italiani degli anni 90. Parte della Swinging Torino che portò alla ribalta della scena nazionale, prima alternativa e poi, in qualche caso, anche mainstream artisti come Fratelli di Soledad, Mau Mau, Africa Unite, Subsonica, Frankie Hi-NRG MC, eccetera. Mao, nella temperie culturale e artistica degli anni 90 italiani che oggi pare irrepetibile, ha sfornato due album eccellenti, Sale (1996, come Maoelarivoluzione) e Casa (1997), che non ho paura di collocare tra i migliori prodotti italiani di due decadi fa, molto al di sopra di album più celebrati. Non sfonda mai, ma i suoi video si vedono parecchio e intensa è anche l’attività live. Con quella faccia e con quella voce un po’ così, da moderno Celentano alternativo (d’altronde al Molleggiato ha dedicato al tesi di laurea o, meglio, al suo ottimo film del 1974 Yuppi Du), viene notato da chi conta. Eccolo quindi catapultato in tv, come co-conduttore a Mtv, poi come inviato di Match Music e infine come parte della resident band di Scalo76 a mamma Rai.
Parrebbe il prodromo a una carriera tutta lustrini e paillettes, vero? Invece se oggi di Mao ci ricordiamo solo noi che gli anni 90 li abbiamo vissuti, e non chi ci è nato, è proprio perché lustrini e paillettes sono arrivati troppo presto. Il ragazzo, figlio della Torino operaia, rimane abbagliato dal bel mondo e perde l’ispirazione. Collaborazioni che sulla carta potrebbero sembrare quelle determinanti e invece o finiscono sul nascere (il singolo con Max Gazzé Colloquium vitae del 1999; però con quel titolo, difficile avere successo) o sono una delusione (l’album Black Mokette scritto in tandem con Morgan, in cui il monzese, però prima sposta pericolosamente il baricentro su di sé, come al solito, e poi scompare, preso dal vortice Asia Argento). Il compito di Mao, a trent’anni suonati e all’alba del nuovo millennio, è reinventarsi una vita da ex mancata star. La storia di questa incredibile avventura è in questo primo romanzo, autobiografico, di Mao: bello e con il valore aggiunto dei disegni di Riccardo Cecchetti, storica firma di Frigidaire, e di un bel cd che rivisita alcuni brani della produzione anni 90 e anni Zero dell’autore. Il romanzo è costruito a flash, che eliminano i tempi morti e focalizzano l’attenzione sui momenti clou di questa resistibile ascesa al successo mancato, senza che ciò pregiudichi la possibilità di comprensione per chi non conosca le (dis)avventure di Mao almeno sommariamente. Quasi una sceneggiatura di un prossimo film o serial televisivo che potrebbe anche intitolarsi Come ho perso la guerra, per citare il titolo di un suo brano storico. Un po’ strane due scelte: pseudonimi dappertutto per personaggi riconoscibili, quelli sì, solo da chi la storia la conosce già; e la cornice narrativa in cui Mao si trova a dover scrivere e illustrare tutto il libro in 24 ore, trovata carina ma già vista e prescindibile.
Nel complesso, un libro imperdibile per chi ha amato questo grande autore; una bella scoperta per tutti gli altri e per chi volesse approfondire gli effervescenti anni 90 italiani, l’ultimo momento di creatività progressiva in questo Paese.
Articolo del
04/01/2012 -
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