|
Lo sappiamo, i primi anni Settanta italiani erano anni formidabili. Poteva accadere di tutto: perfino che i due autori più di successo fondassero un’etichetta indipendente in cui si facesse musica a prescindere dal mercato e le produzioni di Tony Renis convivessero con quelle di Demetrio Stratos ed Eugenio Finardi. In mezzo, Formula3, PFM, Lucio Battisti. Proprio a quella straordinaria, per l’Italia, esperienza di libertà creativa fuori dalle regole del mercato ma propri per questo spesso vincente su di esso (una lezione bellamente dimenticata dai vergognosi discografici di oggi) è dedicato questo bellissimo libro fotografico di Cesare Monti Montalbetti, che della Numero Uno, ma anche della Cramps e poi dell’Ultima Spiaggia, fu il fotografo ufficiale.
Il fratello di Pietruccio dei Dik Dik, come si sa, oltre a essere uno dei massimi fotografi italiani, ha anche disegnato l’estetica e l’immaginario di un’intera stagione del rock italiano, spesso in collaborazione con la compagna, poi moglie, Vanda Spinello, pittrice e grafica (tra l’altro, anche del Re Nudo degli anni 70): proprio lei ha firmato o cofirmato storiche copertine come quelle di Storia di un minuto e Per un amico della PFM, tanto per dirne due. Non c’è da stupirsi che Monti sia tornato spesso, con mostre e pubblicazioni, su quell’epoca: e questo stesso libro, come avverte anche il comunicato stampa, “è la riedizione con modifiche nel contenuto e nel formato” di quello pubblicato nel 1999. Pubblicato in sole 1000 copie numerate a mano, si presenta come un oggettino d’arte a tutto tondo: gli interventi di Spinello impreziosiscono, tramite il ricorso a miniature medievali forse tratte da qualche libro d’ore, le foto di Monti, aggiungendo o esplicitando messaggi impliciti. Così Battisti diviene un gentiluomo quattrocentesco, fin dalla copertina, il retro della cover di Umanamente uomo: il sogno svela le sue radici di millenaria saggezza e fatica contadine, e la copertina di Il mio canto libero diviene quella che Monti immaginava dovesse essere all’epoca e che ragioni di costo impedirono di realizzare. In tanta grazia di Dio, dispiacciono alcuni errori che un buon editor avrebbe potuto evitare. Se già non mi garbano quelli di ortografia (solo nell’introduzione: “Gianni Buoncompagni” invece di “Boncompagni”, “intrappreso” invece di “intrapreso”, “coscenza” invece di “coscienza”) e quelli di sintassi (un uso creativo della punteggiatura e la frequente presenza dell’anacoluto), non posso proprio passare sopra a quelli di contenuto. Quando Monti rievoca i suoi rapporti con Mogol (che peraltro cofirma l’introduzione), sbaglia a collocare il famoso aneddoto secondo il quale il Rapetti mormorò nell’orecchio di Battisti il modo giusto di cantare un pezzo che divenne subito quella cosa immortale che tutti conosciamo: solo che il brano era Emozioni e non Il mio canto libero, come affermato qui. Il bello è che proprio da numerosi ricordi passati di Monti che sappiamo che si trattava di Emozioni. Allo stesso modo, la collaborazione con Mogol e Battisti non si interruppe momentaneamente tra 1975 e 1976, ma nel 1973, perché la copertina di Lucio che Monti non realizzò fu quella de Il nostro caro angelo (1973), mentre Anima latina e La batteria, il contrabbasso, eccetera datano a 1974 e 1976. Ho forti dubbi anche che le foto che seguono quelle dei Flora Fauna e Cemento e precedono quelle di Ivan Graziani mostrino una formazione della band formata da Mario Lavezzi con in formazione proprio Ivan Graziani, dato che non si ha notizia da nessuna parte, neppure nella recente splendida biografia di Lorenzo Arabia supervisionata dalla moglie di Ivan, di una partecipazione dell’abruzzese al gruppo (semmai nel 1975 gravitava dalle parti della PFM...). Infine, la Numero Uno non è stata affatto la prima etichetta indipendente italiana: prima di lei c’erano stati il Clan di Celentano (fondato nel 1962: e lì avevano lavorato anche Mogol, Radius e Stratos, per dire) e la PDU di Mina (fondata nel 1967: anche se con sede fiscale nel Liechtenstein per motivi fiscali e con gli uffici commerciali a Lugano).
Fatte le dovute critiche, devo però sottolineare che il valore del libro non sta nelle note, che evidentemente vanno prese cum grano salis: ma nello splendore evocativo delle foto, capaci di penetrare sempre l’intimo profondo degli artisti ritratti e del disco da illustrare, nonché di evocare alla perfezione una stagione e una collettività forse irripetibili per la musica italiana, dato che il libro non si concentra solo su Battisti, ma dà ampio spazio ai maggiori protagonisti dell’epopea Numero Uno. Da avere per questo.
Articolo del
11/01/2012 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|