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Se davvero fosse possibile stabilire un inizio, un qualsiasi punto di origine per la World Music, allora non si potrebbe fare a meno di risalire a quando il sitar di Ravi Shankar si andava a mescolare felicemente con le chitarre elettriche dei grandi interpreti occidentali del Rock nei vari Open Air Festival della fine degli anni Sessanta. Ambasciatore della cultura indiana nel mondo, maestro di musica indostana, amico personale del compianto George Harrison, Ravi Shankar ha raggiunto la venerabile età di 91 anni e la sua ultima pubblicazione discografica risale al 2007 quando uscì Flowers Of India. Prima di allora, nel 1997, Ravi Shankar aveva scritto Raga Mala, la sua seconda autobiografia, un libro fantastico in cui musica, spiritualità, relazioni sentimentali e incontri artistici convivono creando quasi trecento pagine di un fluire armonico e vitale. Finalmente qualcuno, quattordici anni più tardi, ha pensato bene di tradurre l’opera in italiano e quelli di Arcana hanno affidato a Riccardo Battaglia la traduzione del testo per la prima edizione italiana del libro.
Forse il ruolo e l’importanza della figura di Ravi Shankar sono pressoché sconosciuti ai lettori più giovani, ma i rockers d’annata ricordano senz’altro le sue performance al Festival di Monterey nel 1967, a Woodstock nel 1969 e - insieme a George Harrison - al Concerto per il Bangladesh, nel 1971. Definito proprio da George Harrison come “Il Padrino del Sitar”, Ravi Shankar è membro onorario dell’Accademia Americana della Letteratura e dell’Arte e ha ottenuto due Grammy Award per la sua musica, che ha fatto conoscere per la prima volta in Occidente la profondità ed il ritmo delle sonorità di un Oriente che da allora in poi non è stato più così lontano. Il libro racconta i primi anni di vita in India, i suoi viaggi a Parigi nel 1030 per arrivare fino al raggiungimento di uno status simile a quello di una rock star nei primi anni Settanta. Leggerete anche della sua vita personale e delle sue molteplici relazioni sentimentali a partire dal 1942, dalle quali ha avuto due figlie: Anoushka Shankar e Sue Jones. Quest’ultima però non è mai stata riconosciuta dal padre ed è diventata famosa nel panorama musicale moderno come Norah Jones, raffinata cantante jazz. Il testo si basa sui contenuti di My Music My Life, la prima autobiografia di Ravi Shankar, scritta nel 1968, e si può tranquillamente definire come una estensione e un completamento di quel libro. E’ molto interessante leggere il parere dello stesso Shankar sulla sua partecipazione al mitico Festival di Woodstock, che viene ricordata come “una esperienza terrificante, un enorme picnic dove la musica era un fatto secondario”. Scoprirete l’importanza che ha avuto per lui l’incontro con Ustad Allauddin Khan, un Maestro della musica indostana e - qualche anno più tardi - l’amicizia con Philip Glass, compositore americano di musica minimalista, un genere che ha molte affinità con la spiritualità della musica indiana. Il testo è infarcito di elementi che aprono alle numerose contaminazioni che si sono poi realizzate fra Oriente e Occidente, è il racconto di una musica senza confini, è l’avventura mistica e musicale di un’anima che ha attraversato le celebrità e la fama internazionale senza mai perdersi. Il libro contiene anche una breve introduzione scritta da George Harrison nel 1997, che considera Ravi Shankar non soltanto un amico, un collaboratore o un bravo musicista, ma un ponte fra la sua parte occidentale e quella orientale.
Un musicista classico, molto serio e molto preparato che però amava anche stare bene, divertirsi e in quelle occasioni ritornava bambino. Una figura affascinante e complessa che ha significato molto per chi vi scrive ma che non mancherà di suscitare l’interesse di quanti ancora adesso andranno a ripercorrere le tappe fondamentali della sua esistenza attraverso le pagine di questo libro.
Articolo del
10/01/2012 -
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