Un milione di anni fa, all’incirca nei Settanta, l’unico modo per recuperare in fretta informazioni su un gruppo, un artista o un movimento musicale era leggersi un libro. Troppo episodici e frammentari gli articoli sulla stampa specializzata (in Italia, poi, tre o quattro riviste al massimo si occupavano di musica rock), inesistente Internet. Una pacchia per gli editori, che potevano stampare qualsiasi boiata, purché su un argomento con un minimo di richiamo (erano gli anni in cui quando un disco era un flop totale vendeva die-ci-mi-la copie, cosa per cui oggi qualsiasi discografico italiano di una major venderebbe l’anima al diavolo): ma in questo mare magnum di pressapochismo si trovavano autentiche perle e pietre miliari della critica musicale, tipo Il pop inglese della Sacra Trimurti Bertoncelli – Fumagalli – Insolera.
Come si sa, l’arrivo massiccio del web e della banda larga anche in questa desolata e periferica landa dell’Impero ha spazzato via tutto. C’è ancora chi stampa fuffa, ma si condanna all’invenduto totale (salvo parenti), dato che un giretto su wiki o su qualche pagina dedicata all’argomento è in grado di dirci pure il cocktail preferito dei nostri beniamini del momento. Per cui oggi le strade da percorrere per la critica musicale sono fondamentalmente due: la critica metamusicale alla Simon Reynolds (Retromania) o l’approfondimento minuzioso focalizzato su un album, un anno, un periodo circoscritto di un artista, vivisezionato e infarcito di interviste a chi c’era. Donato Zoppo ne inventa splendidamente una terza, recuperando coraggiosamente e anzi collegandosi esplicitamente alla migliore tradizione dei Settanta di cui dicevo sopra: la guida panoramica a un genere musicale. Il risultato, devo dirlo subito, è eccellente: credo sia da trentacinque anni che non mi capitava di leggere un libro italiano così perfetto in questo genere (per l’estero c’è Post punk del solito Reynolds, tanto per dirne uno). Preciso e puntuale ma scorrevole; capace di focalizzarsi sui grossi nomi senza perdere di vista quel vitale background fatto di artisti minori, etichette musicali, locali, animatori a vario titolo della scena; corposo ma sempre interessante, anche nelle pieghe meno conosciute del genere; appassionato ma criticamente imparziale (quando i dischi sono brutti, Zoppo lo dice nudo e crudo). A suo agio come un topo nel formaggio, Zoppo parte senza snobismi dai prodromi del progressive, ovvero da tutto ciò che a partire dalla metà degli anni Sessanta si è mosso verso il superamento a vario titolo della forma tradizionale di rock: contaminazioni musicali, allungamento dei brani, abbandono della forma canzone, emergere di strumentazioni e suoni non convenzionali, contagi di altre espressioni artistiche, ecc. Una volta delineata la parabola storica del progressive (il suo apice, sostanzialmente, fu il periodo 1969-1974), ovviamente incentrata sulla terra madre, l’Inghilterra, Zoppo passa velocemente ma esaurientemente in rassegna le varie scuole nazionali, che fiorirono spesso proprio quando il punk e la new wave decretarono l’entrata in crisi del prog nella madrepatria (e il calo di ispirazione, certo), proseguendo poi a illustrare l’evoluzione del genere attraverso gli anni ’80 e ’90 fino ad oggi, epoca che vede un notevole fermento, condannato forse alla nicchia a causa delle trasformazioni oggettive dell’ascolto musicale: già, l’mp3 pare non vada d’accordo con la concezione dell’album come opera unitaria, quando non concept.
Il libro può causare pericolosi effetti collaterali: nel mio caso una perdurante infatuazione per gli Yes, che non accenna a diminuire. Fate attenzione. Godibilissime le citazioni di titoli di album storici a introduzione dei vari capitoli, davvero ad hoc e mai appiccicate. Unico appunto: perché così poco spazio agli italiani Stormy Six? Tenendo conto che Zoppo trova il modo di parlarci anche delle scene del blocco sovietico, di quella scandinava e di quella giapponese, davvero un appunto risibile, isn’t it? Abbiatelo!
Articolo del
26/01/2012 -
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