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Cherry Vanilla non sarà un nome di prima grandezza nella storia delle musica rock e dell’evoluzione del costume, eppure ne sa e ne ha viste molte più di tanti altri. “Chiiiiii?” mi sembra già di sentire. Qualcuno tra i più avveduti se la ricorderà come p.r. di David Bowie, figura imprescindibile nella scalata al successo in Usa del Duca Bianco. E i conoscitori più esperti della scena inglese di fine anni 70 la ricorderanno come protagonista marginale della scena punk di allora.
Cherry Vanilla non sarà famosissima, dicevo. Ma ha incontrato decine di persone famosissime nella sua vita, che peraltro ne vale cento delle nostre ordinarie. Per quanto questo libro sia una miniera di aneddoti su David Bowie, Mick Ronson, Tony Defries, Kris Kristofferson, Mick Jagger, John Lennon & Ringo Starr, i Police, Patti Smith, essi non costituiscono affatto l’ossatura del libro né tanto meno il suo fascino principale. Che invece sta proprio nella storia della sua vita nel suo attraversare quattro decadi (dal 1943, anno in cui nasce col nome di Kathleen Anne Dorritie a New York, da famiglia operaia di origine irlandese, al 1977, in cui ottiene un contratto dalla Rca come cantante e pubblica il 45 giri The Punk). La vita di Cherry Vanilla è uno specchio dei tempi, a suo modo tipico e insieme inconsueto. Dopo la narrazione dell’infanzia e della pubertà, quando Cherry trova lavoro nella New York dei pubblicitari dei primi anni 60, ci si stupisce di trovare un ambiente così disinibito e anticipatore dei costumi dell’era hippie: sesso libero, Lsd a tonnellate, rapporti sociali tra omo ed etero improntati alla più assoluta normalità (come dovrebbe essere). Ma questo ancora non basta a fare di questa autobiografia il libro affascinante che è: a fare la differenza è il modo in cui Cherry Vanilla racconta la sua vita, con un candore spiazzante, che mostra con la più totale innocenza particolari così intimi e scabrosi che in altre mani sarebbero diventati o scabrosi o deprimenti. Un candore che ha origine nella disponibilità assoluta a vivere gioiosamente, nel segno di un amore per il Creato che passa sì per il sesso, spesso e volentieri, per la droga e per situazioni dolorose, ma ha il pregio di aver fatto trovare a Vanilla sempre la forza di sorridere al proprio futuro. Un candore e un amore per la vita che sono certo il riflesso di un’epoca, quella hippie, ma non solo: sono la disposizione naturale di un’anima sana verso la vita, anche se quest’ultima, alla fine, è stata cattiva con lei, come Vanilla rivela nelle ultime quattro pagine, dedicate agli eventi post-1977.
Trecento pagine, fitte di nomi, eventi, personaggi e aneddoti, ma che si leggono tutte di un fiato, in grazia del ritmo fluente di vita nel cuore che l’autrice ha posseduto. E che ci presta perlomeno fino alla fine del libro. Il romanzo di una vita. Imperdibile.
Articolo del
13/02/2012 -
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