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Un’impresa non facile, questa di Antonio Puglia: commentare i testi dei Depeche Mode. Non facile, perché, come ricorda lo stesso Puglia, “rispetto a Martin Gore parolieri contemporanei come Morrissey, Nick Cave, Robert Smith, Michael Stipe e persino Bono si collocano su un altrolivello per stile, contenuti, poetica, ambizione, risultati”. Eppure condotta brillantemente in porto.
Nonostante i temi trattati nelle canzoni dei Depeche Mode siano soltanto tre, “amore, sesso, religione”, Puglia riesce a confezionare un libro giocoforza corposo (tredici album in studio non sono bazzecole) che però è scorrevolissimo e appassionante per tutta la lunghezza delle sue 506 pagine che comprendono B-sides e brani usciti solo in compilation. Lodevole fatica, riuscire a non annoiare mai, restando sul punto, precisi, con così pochi nuclei tematici da sviscerare nelle loro moltissime declinazioni. Puglia sceglie la strada dell’aderenza a ciò di cui parla: niente svolazzi, uno stile brioso eppure capace di combinare efficacemente spiegazione dei testi con gli episodi della vita dei membri del gruppo da cui hanno preso vita. Nulla è di più, nulla è di troppo. E dire che le liriche di Gore (poche sono quelle composte da Vince Clarke, Alan Wilder e Dave Gahan, e meno significative) sono basate sul linguaggio quotidiano e “sull’uso a volte elementare di figure stilistiche, sull’intuizione estemporanea (sovente felice, altre volte meno), sull’ambigua giustapposizione semantica di simboli e contenuti apparentemente opposti”. Puglia ci guida con mano sicura tra i meandri della produzione dei Depeche Mode, non fa sconti alla mancanza di ispirazione e ci svela la segreta bellezza dei momenti migliori di Gore & Friends, che abitano un mondo in cui domina una noia solida, da tagliare col coltello, e in cui bisogna inventarsi qualcosa che faccia sopportare la pena di vivere così, almeno per un altro po’, fino al prossimo trick che la sulfurea donna-angelo di turno s’inventerà. Già, perché i tre temi di cui si diceva, amore, sesso, religione, spesso sono mescolati fra di loro: ed è incredibile quello che si viene a sapere da Puglia, cioè che i blasphemous rumours dei Depeche Mode hanno fatto molto meno scandalo di quelli, ben più teneri di altri artisti (però mainstream) e che addirittura la loro Personal Jesus è stata adottata da alcuni gruppi integralisti cristiani americani. Che sia una canzone che parla di disperazione e di assenza siamo tutti d’accordo (e Johnny Cash l’aveva capito, seppure a fatica), ma il modo in cui gioca tra allusioni religiose e associazione tra hot lines e linee telefoniche religiose a pagamento (sì, in Usa esistono anche quelle) non è il massimo del rispetto per la religione (e Johnny Cash aveva capito anche questo, subito a pelle, tanto che Rick Rubin dovette sudare sette camicie per convincerlo a cantarla, quella canzone).
A noi invece queste canzoni che parlano di disperazione e assenza piacciono un sacco. So: reach out and touch faith.
Articolo del
02/03/2012 -
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