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All’apparenza dimesso (per la copertina si poteva fare di più e di meglio), questo saggio di Innocenzo Alfano, critico originale, è invece alquanto interessante.
Il sottotitolo “Gli anni Sessanta e Settanta attraverso dischi, festival, liberi, luoghi, suoni e molte curiosità” specifica solo in parte i motivi dell’interesse. Anche se uno si aspetta la solita parata di curiosità note ai più attenti conoscitori dell’epopea rock, Alfano si concentra invece su aspetti poco noti di dischi e artisti (la Band of Gypsies di Jimi Hendrix o il Live At Budokan di Bob Dylan), su festival poco studiati, perlomeno in Italia, ma altrettanto importanti per l’evoluzione del genere di quelli più celebrati e leggendari di Woodstock e Wight (quelli di Bath e di Big Sur, entrambi del 1970), piccole verità sottaciute e indicibili, come quella dell’allegra abitudine plagiaria dei Led Zeppelin (davvero indicibile: quando, tempo fa, dedicai ad essa alcuni post su Facebook, diversi amici fans del Dirigibile manifestarono istinti omicidi nei miei confronti per lesa maestà), piccoli frammenti di vita (una trasferta con la banda del paese in Svizzera o il concerto degli Steeplejack a Pisa, che potrebbero dar luogo a un gigantesco “chissenefrega” e invece risultano godibili raccontini), puntigliose puntualizzazioni (come la polemica sull’impropria dizione di “album solista” che nel rock non è applicata come si dovrebbe, ovvero all’esclusivo caso di un artista che fa tutto da solo, senza nessun piccolo aiuto da parte degli amici, struttura industriale a parte). Conclude il libro una lunga sezione dedicata alla ricostruzione della scena di San Francisco negli anni della gloria psichedelica. Col tono pacato e caparbio dello studioso, Alfano (che è anche saggista di politica ed economia internazionale e un po’ si sente) snocciola tante piccole verità e ha il merito, lui musicista, di portare nella valutazione del rock un contributo spesso trascurato: quella dell’analisi tecnica della componente musicale, che dovrebbe essere una delle cose principali in un saggio rock, ma, come sappiamo, spesso è trascuratissima, per l’ignoranza nel campo sia dei critici sia del pubblico, e il conseguente terrore delle case editrici di sfornare un prodotto indigeribile e quindi potenzialmente invenduto. Nonostante le avvertenze, però, l’analisi di Alfano, quando entra nello specifico musicale, non è mai inaccessibile (direi anzi che rimane sempre molto chiara e a livelli elementari, in modo tale che anche un profano possa accostarvisi senza esserne scottato). Alfano infatti non è mai noioso: e l’unico capitolo che mi ha annoiato un po’, quello sui Quicksilver Messenger Service, non contiene nulla o quasi (cito a memoria) di analisi musicale. E questo è quindi un grande pregio. Il terzo, conseguente, è quello di offrire punti di vista sorprendenti e inusuali: ad esempio con ottime argomentazioni, dimostra la bravura delle Orme nel loro criticatissimo live (il primo di un gruppo rock italiano) In concerto (1974), proprio partendo dal motivi principale della contestazione, ovvero il brano inedito Truck Of Fire (Part 1), giudicato indigeribile dai più, proprio a causa dei motivi di merito che Alfano vi trova, ovvero l’essere costruito sulla caratteristiche delle tradizioni musicali non occidentali.
L’originalità e l’intelligenza dei punti di vista di Alfano non significa però che siano tutti condivisibili. Il punto di vista dell’autore calabrese (non me voglia) è difatti simile a quello di Scaruffi: accademico, di impostazione classica. Il che permette molte interessanti e originali valutazioni. Ma non permettere di comprendere che la natura del rock non è solo (o non è stata, dato che dubito che questo genere, che pure amo, sia ancora vivo. Ma non dispero) quella strettamente musicale: il rock è anche performance sul palco, di natura simile a quella teatrale, celebrazione di un rito mediatico, fenomeno di costume e, un tempo, giovanile, stile di vita, posa (nel senso buono del termine), mitopoiesi. Tutte cose che non sono estranee al rock, ma consustanziali ad esso. Di conseguenza, se non è affatto trascurabile la bravura tecnica o la complessità musicale di un artista e delle sue opere, non lo è nemmeno la primitiva semplicità di tanti altri tipi di rock. È questo che fa, ad esempio, dei Sex Pistols una grandissima band, tra le più importanti del genere, nonostante i suoi membri fossero mediocri musicisti (e uno, Sid Vicious, addirittura meno che scarso).
Distinguo a parte, questo di Alfano è libro di cui mi sento tranquillamente di consigliare l’acquisto: l’intelligenza è merce rara e assumerne un po’ fa solo bene alla salute.
Articolo del
07/03/2012 -
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