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Oltre alla grana lieve della scrittura e al mondo di sensazioni tenui e umbratili che popolano l’animo del protagonista, c’è un altro motivo, tutto rock, per farsi piacere questo bel romanzo autobiografico di Douglas A. Martin. È la storia del suo amore con Michael Stipe dei R.E.M. La storia, quindi, del rapporto giocoforza difficile che finisce per legare una rockstar con tutti i suoi impegni e un ragazzo qualunque, figlio di una famiglia proletaria e disastrata, abbandonata dal vero padre, funestata da una serie di nuovi partner della madre mai all’altezza dei loro ruoli, da una madre che essa stessa è distruttiva e non sa come rimediare alle forzate assenze da casa per turni di lavoro massacranti.
Il ragazzo qualunque passa gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza tra Virginia e Georgia, cioè nel Sud più profondo e conservatore, cresce bisognoso di affetto, fragile dentro, schernito per la sua diversità che è umana prima che sessuale (questa riesce a tenerla abbastanza ben nascosta), fatta di una sensibilità crepuscolare e fragile. Le tendenze artistiche non apprezzate, l’interesse per le materie umanistiche, la voglia di scappare dal paesello e da una famiglia in cui si riproducono le spirali distruttive che hanno rovinato la vita della madre (la sorella si procura una cattiva reputazione, accompagnandosi nel razzista Sud solo a ragazzi afroamericani non molto interessati alle sue qualità interiori) conducono Douglas all’università di Athens, la grande città, capitale della Georgia. Qui, in un gay bar, incontra fuggevolmente Michael. Una volta, poi un’altra, finché una semplice conoscenza si tramuta in contatti fuggevoli e apprezzamenti: insomma, si sviluppa tutto il tipico corollario del corteggiamento che sfocia nella prima notte d’amore tra i due. Che, a dispetto delle aspettative del disilluso Stipe, finisce per sbocciare in una relazione seria, ma sempre sul filo dell’incertezza e della precarietà. La natura del lavoro di Stipe, che lo porta ad essere frequentemente assente per viaggi, tour, registrazioni, impegni vari, unita al suo non credere nell’amore (anche se alla fine si innamora di Douglas), fanno soffrire il protagonista, che sente di essere un di più, un accessorio provvisorio, sempre, anche quando Michael lo porta in tour con lui e lo introduce nella grande famiglia dei R.E.M. il proletario Douglas, che ha bisogno di essere istruito sulle buone maniere e vestito adeguatamente, finisce però per sentire riconfermato il suo essere fuori posto.
Come va a finire non lo dico. Leggetelo voi. Il bello del libro sta proprio in come è scritto, anche se è innegabile che indovinare che dietro al bel cantante rock sfuggente sta Michael Stipe dà un certo grado di soddisfazione voyeuristica, così come riconoscere sullo sfondo le ombre della morte di River Phoenix e di un possibile rapporto di Stipe con Patti Smith. Ma il libro in sé non sta qui: è la storia di una crescita umana, e quindi un romanzo di formazione autobiografico, ma anche del tentativo di emancipazione dal mondo grezzo del proletariato e della provincia americani, della diversità di classe e di animo che finisce per dividere anche (forse dovrei dire soprattutto) due persone che si amano, con accenni mélò alla My Fair Lady molto discreti. Bel romanzo, collana Tracce curata da Matteo B. Bianchi, interessante prefazione di Marco Mancassola, che dice di aver odiato il protagonista per tre quarti del romanzo, prima di capirlo e amarlo. È una chiave di lettura. A me invece è piaciuto da subito. Ma si sa, a me piacciono Gozzano e i tormenti crepuscolari. Vedete voi che fare. Bello, ma non per tutti.
Articolo del
16/04/2012 -
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