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Questo è il libro che ci voleva. Finora, infatti, il fenomeno Vasco è stato unicamente incensato in biografie che hanno più dell’agiografico che del critico: sembrano cioè vite di un santo piuttosto che offrire un’analisi seria e spassionata. E ci credo: scrivere un libro su Vasco, che esalti Vasco, è uno dei pochi modi sicuri che ha un giornalista rock italiano per fare soldi. Perché il libro vende, vende, vende.
Alessandro Alfieri e Paolo Talanca invece non ci stanno, e chiariscono il loro punto di vista fin dal titolo: per loro Vasco è il Male, con la maiuscola, come chiarito all’interno del saggio stesso. Farò incazzare legioni di fans, ma devo dire che per me hanno ragione. E hanno tanto di più ragione in quanto la loro non è una posizione aprioristica né una sensazione di nietzscheano disgusto a pelle, ma il frutto di un’analisi approfondita, condotta con gli strumenti della critica testuale e della filosofia, incrociando i dati offerti dalla produzione di Vasco Rossi con l’evoluzione sociale e culturale del nostro Paese negli ultimi 34 anni, quelli passati, cioè, dalla pubblicazione del primo disco di Vasco. Secondo Talanca, Vasco non offre agli ascoltatori una poetica, ovvero una sua urgenza comunicativa, ma un’icona, cioè canzoni in cui il pubblico possa riconoscersi, funzionali all’esecuzione nello stadio: quello che nei Paesi anglosassoni definiscono anthem, in sostanza. Ora, il produrre anthem, aggiungo io, non è di per sé indice di mancanza di una poetica: lo diventa il produrre solo anthem. Gli Stones, i Sex Pistols, i Fracazzo da Velletri hanno fior di anthem nel loro repertorio, ma molti più brani in cui offrono la propria visione del mondo sbattendosene di quello che pensa il pubblico. Per Talanca, comunque, vi è stata una prima fase del percorso di Vasco in cui la sua funzione è stata positiva, spezzando consuetudini logore e luoghi comuni indiscutibili. Questa fase ha un vertice per Talanca: la canzone Stupendo del 1993, in cui Vasco passa dal “chi se ne frega di tutto sììììì” alla riflessione sulla fine che hanno fatto che quelli che facevano gli alternativi da giovani. È un punto di perfetto equilibrio, perché in essa Vasco abbandona la sua caratteristica stilistica più evidente come scrittore di testi, ovvero l’utilizzo della lingua d’uso, impersonale, in cui le parole non hanno in significato speciale di per sé, per come le ha scritte l’autore, ma lo acquistano per come vegono cantate, in favore di un discorso più ampio. È un attimo, però: da allora in poi il declino è irrimediabile, sia quando tenta un discorso più d’autore, non nelle sue corde (per questo, dice Talanca, il premio Lunezia 1999 per i testi di Canzoni per me è immeritatissimo), sia quando ritorna al suo stile più naturale, che però si rivela una stanca ripetizione di quelli che ormai sono clichés incapaci di dire qualcosa di nuovo.
Se Talanca analizza le canzoni in sé, Alfieri prende in considerazione l’immaginario di Vasco. Il punto di partenza della sua analisi è la considerazione che l’arte ricrea e riplasma la vita, imitandola, in quanto offre, anche inconsciamente, un modello da imitare. Così, terminato il momento iniziale in cui l’icona Vasco (lo sballato di provincia, disadattato, che non vuole saperne di niente e di nessuno, “che se ne frega di tutto sìììì”, e quindi però inoffensivo) rappresenta un fenomeno realmente trasgressivo, nel momento in cui assurge al rango di rockstar il suo nichilismo puramente negativo, volto cioè alla pura distruzione dei valori preesistenti senza volerne creare di nuovi (una caratteristica invece di tutte le controculture), diventa modello di vita. Da quel momento, 1983, piano piano la vita in Italia diventa vivere come Vasco. E dato che in realtà nulla è cambiato nel milieu socio-politico-economico, Vasco diventa la Conservazione, e quindi il Male, (dato che il Bene è la novità, il progresso, il cambiamento), funzionale al mantenimento dello status quo. Per Antiseri l’orrenda Italia di oggi è stata creata a tavolino, da molti agenti, consapevoli o meno: il più incriminato di tutti è da sempre Berlusconi, che con il suo dominio televisivo ha distrutto consapevolmente qualsiasi presa di distanza critica dalla realtà; ma Vasco, è la tesi di Antiseri che sposo in pieno, seppure inconsapevolmente è stato più determinante di Berlusconi (cosa di cui lo stesso Vasco mostra una coscienza confusa in alcuni degli ultimi testi), se non altro per essere venuto prima. E d’altronde, pensateci un attimo: il tipico fan di Vasco non è forse colui che a parole è trasgressivo, ma in realtà più in là dello sballo del sabato sera non va, essendo perfettamente inquadrato per tutta la settimana e accettando supinamente un mondo ingiusto non solo perché “così vanno le cose”, ma perché ne condivide i valori di arrivismo, menefreghismo ecc.? Destituendo di fondamento valori come la cultura, l’impegno, lo studio, il miglioramento di se stessi, il senso civico ed ergendo a modello di vita i loro contrari, Vasco ha creato i peggiori anni 80 italiani: non è un caso, aggiungo io, che gli anni in cui si afferma Vasco siano gli stessi del fenomeno Pierino, il personaggio interpretato da Alvaro Vitali. Vasco è Pierino: come lui, al di là delle sue intenzioni, ha dato dignità epica alla feccia che è in ciascuno di noi e ne ha fatto l’unico modello di comportamento positivo, anzi l’unico possibile. Vasco incarna perfettamente la logica della società dello spettacolo che Guy Debord ha mirabilmente spiegato a suo tempo: si stima, si invidia e imita qualcuno proprio perché è un mediocre. Ma “mancanza di spirito critico, pressappochismo, mediocrità come ambizione, ignoranza, fissazione in un modello, disimpegno politico, inazione” sono “quanto di meglio il mercato potesse desiderare”, perché conducono alla “totale controllabilità” (p. 93).
Libro consigliatissimo, anche perché è tra i pochi in Italia che affronta l’argomento musica da un punto di vista filosofico e però in maniera accessibile. Certo, manca l’analisi della parte musicale, che anch’essa, a mio avviso, è il Male: dopo un primo periodo in cui ha avuto il merito di introdurre in Italia sonorità decisamente più rock, per quanto sulla scia di modelli già obsoleti (il Lou Reed di Rock’n’roll Animal, certo Battisti meno conosciuto), il sound di Vasco è rimasto sostanzialmente invariato, a parte gli aggiustamenti di arrangiamento dovuti alle mode dei tempi (ad esempio, più leccato negli anni 80, più rock in quelli 90 e attuali). Anche la recente (e orrida) riproposizione di Creep dei Radiohead (un pezzo del 1992) risponde a questa logica retrò, che è tra le cause del sostanziale immobilismo dei gusti italioti e origine principe dell’orrendo rock da birreria che ammorba i nostri pub. Vasco, il Male. “Il trionfo della logica dell’identico”, come recita il sottotitolo, di un mondo in cui non succede e non cambia nulla. Come nei baccelli di Matrix. Come in The Truman Show. Leggetelo. Fatene tesoro. Potete essere liberi.
Articolo del
28/06/2012 -
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