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Un ciclone sconvolse il mondo del rock alla fine degli anni 70, epicentro New York, tra i quartieri dell’East Village e di SoHo: era la No Wave. «Le origini stesse di questa denominazione non sono chiare: secondo alcuni il termine fu diretta conseguenza dell'album-manifesto che gli diede fama imperitura, e cioè "No New York". Secondo altri il termine fu coniato come ironico contraltare a "new wave", il movimento musicale che si stava affermando in quegli stessi anni in Europa e America. Per altri ancora il nome deriverebbe dal magazine "NO" che documentava e dava voce alla scena» (p. 40). A New York, in quegli anni, il punk appariva già vecchio, la new wave pure: gente come Patti Smith era già un’insopportabile trombona cui opporsi. Già alla fine del 1976 avevano cominciato a formarsi gruppi che volevano servirsi degli strumenti del rock (chitarra, basso, batteria) per decostruire e seppellire il rock stesso. D’altro canto, non era stato lo stesso Johnny Rotten a dire che “i Sex Pistols gli hanno dato il colpo di grazia, sono stati l’ultima rock’n’roll band”? E allora bisognava andare oltre. Questo oltre, però, non nasceva dal nulla. Sulle ceneri del sogno americano, che in quegli anni newyorkesi pareva finito per sempre (i Seventies sono il decennio della crisi nera per New York, come in fondo testimoniano pure film mainstream come La febbre del sabato sera e I guerrieri della notte) nella Grande Mela agivano diversi fermenti artistici che sono l’humus da cui nacque la No Wave: il minimalismo, il loft jazz, gli stessi punk e new wave.
Il saggio di Satriano è una disanima puntuale, per quanto necessariamente non approfondita, di tutte le forme in cui si manifestò la No Wave: i gruppi dell’East Village e di SoHo, divisi da una rivalità neanche sotterranea, la fondamentale compilation No New York, fortemente voluta da Brian Eno, gli artisti No Wave, il cinema No Wave. L’autrice napoletana conduce con piglio sicuro la narrazione del percorso della No Wave, arricchendo il testo con smartcode che permettono di ascoltare brani altrimenti introvabili (ecco, magari, però, non tutti hanno lo smartphone...) e interviste ai protagonisti del fenomeno. Davvero interessante il terzo capitolo, che rintraccia le propaggini No Wave in Italia, disperse e confuse tra influenze punk e new wave in quel gran calderone di stili che caratterizzò la produzione musicale alternativa in quel giro di decenni tra fine anni 70 e inizio anni 80.
Bel libro, documentato e non banale. Un lavoro serio. Come ce ne vogliono. Applausi a Livia Satriano (e a Roberto Canella, che le dà una mano in un paio di occasioni).
Articolo del
02/07/2012 -
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