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Ventisette racconti, tutti intitolati a capi di abbigliamento, perlopiù di biancheria intima, come potete immaginare dato il titolo, più introduzione e playlist. E più uno. Un racconto invece di Max Pezzali. Perché? Perché è uno dei personaggi, l’unico reale, evocati costantemente in queste schegge di vite disperate, ridotte al minimo, al “tirare avanti non so neanche perché”, che compongono questo strano oggetto che è Underwear.
Strano, perché all’inizio pare di trovarsi di fronte a degli epigoni di quel capolavoro degli anni 90 che fu Superwoobinda di Aldo Nove (aprendo una parentesi, uno degli autori e dei libri più influenti degli ultimi vent’anni e meno valutati dalla critica seria, che sta dietro alle pipernate...): stesse storie di periferia, di provincia dentro anche se vivi nella metropoli, di isolamento, alienazione, che sono quotidiane, palpabili, riconoscibili immediatamente, nel vicino, nel passeggero seduto di fronte in autobus o a fianco in treno, in chi gira al supermarket vicino a te. Ma riconoscibili anche in te, in me, in tutti noi. Il lato oscuro della vita nella società del turbocapitalismo e dello spettacolo, l’inconfessabile che è invece l’anima stessa delle nostre vite di lavoratori/consumatori, le miserie dello spirito che sono pudenda, appunto, cose di cui vergognarsi, presentate qui con uno stile che oscilla tra il cannibalismo del primo Nove e la confessione, il coming out in un reportage televisivo trashissimo a scelta, in una versione moderna del settecentesco di Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos, narratologicamente parlando. “Letteratura cannibale, ancora?”, sento già dire a qualcuno. A parte il fatto che, a mio modestissimo parere, è stata artisticamente più produttiva la letteratura cannibale degli anni 90 che il tentativo di recupero di una narrazione lyotardiana (ovvero di una spiegazione del mondo ideologicamente coerente) operato dal New Italian Epic (che pure, come nel caso del Sarasso della trilogia per ora incompiuta, ha offerto qualche risultato eccezionale) negli anni Zero; e dico artisticamente più produttiva perché il nichilismo destruens della letteratura cannibale per ora fotografa meglio le macerie delle nostre vite, mentre il tentativo di ricostruzione (nichilismo costruens) di una lettura del mondo mi pare perlopiù prematuro e quindi forzato, anche perché spesso condotto in base a ideologie che non sono esse stesse nuove, ma stantie riproposizioni di un passato otto e novecentesco che ormai non funziona più, non spiega più molto e in gran parte è responsabile del disastro attuale; a parte tutto questo, dicevo, Underwear non è solo letteratura cannibale. No: e non lo è perché intraprende, dalle cose minime (minima immoralia...), un tentativo di ricostruzione di visione globale del mondo, che però non giunge a strutturarsi, a porsi come monolite ideologico compiuto, ma come indicazione di un possibile percorso. È quindi un inizio di superamento del cannibalismo. E lo è nella sua differenza da Superwoobinda, che qui prendo come ideale parametro: mentre i racconti e i loro protagonisti nell’opera di Nove sono accomunati solo dalle loro condizioni esistenziali e dal muoversi in una stessa realtà socioculturalgeografica (il barocco brianzolo di Labranca?), quelli di Underwear – te ne accorgi man mano che avanzi nella lettura – sono pezzi, schegge, frammenti di un romanzo corale. I personaggi tornano, non detti, sottintesi, suggeriti, in diverse angolazioni e momenti della loro esistenza, così come le situazioni, raccontate e vissute da diversi di essi, da differenti punti di vista: il variare del narratore, multiplo, della sua posizione rispetto alla storia, sia nel ruolo che nel momento del suo svolgimento e della sua narrazione, produce un tipo di narrativa che (dato che “cannibale” era termine di origine dadaista, usato da Francis Picabia nel 1920 come titolo di un manifesto letterario) mi verrebbe da definire “cubista”, perché come l’analoga corrente figurativa mostra da diverse angolazioni la realtà, svelandone l’orrore, lo stridore, la disarmonia, ma ricomponendo il tutto in un tentativo di quadro organico. Per ricostruire tutta la storia, se ne avrete voglia, dovrete rileggervi il libro, magari con carta, matita e gomma a portata di mano, per determinare scientificamente relazioni tra racconti, fatti e personaggi. Ma non è necessario: Underwear funziona benissimo anche alla prima lettura, con l’impressione vivida di un mondo franto e timidamente dolente che comunica.
Alla fine, sono storie di provincia e di sfiga: ecco perché l’amato, evocato, invocato Max Pezzali conclude il libro con una sua storia minima. Che ne completa una lasciata in sospeso nel libro. Da avere, da leggere, da amare. Libro importante.
Articolo del
23/07/2012 -
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