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Torna l’ispettore Carl Mørck della Sezione Q della Polizia Criminale di Copenhagen, quella incaricata di riaprire vecchi casi insoluti e nata per togliere di mezzo un collega scomodo che però, già col suo primo caso, quello narrato eccellentemente in La donna in gabbia (Marsilio 2011, prima edizione danese 2007), ha dato grande prova di sé. Stavolta ci sono parecchie novità: se è confermato l’aiutante siriano Assad, che mostra a sprazzi altri lati misteriosi della sua vita, alla Sezione Q si aggiunge la segretaria Rose, altra “indesiderabile” che però rende al meglio proprio con Mørck; e soprattutto il caso da riaprire stavolta, un duplice omicidio di due fratelli, ha già un colpevole reo confesso che sta finendo di scontare la sua condanna in carcere. Solo che una mattina Mørck trova sulla scrivania un misterioso dossier sul caso: nessuno sa chi l’ha portato e quel che è bello è che suggerisce che i colpevoli sono più di uno. E che sono responsabili di una lunga catena di aggressioni e omicidi.
Battuta di caccia è un noir, quindi non farò niente di male svelandovi quello che lo stesso Adler-Olsen svela subito apertamente ai suoi lettori, ovvero chi sono i colpevoli. Oltre al condannato, quelli che all’epoca erano altri quattro ragazzi e una ragazza: figli di squali dell’economia e della finanza danesi, cresciuti in famiglie anaffettive che li hanno sbattuti prima che potevano in un prestigioso collegio, a un tratto scoprono il piacere della violenza. Ispirandosi anche ad Arancia meccanica, diventano una banda che sfoga le proprie frustrazioni massacrando i malcapitati che casualmente gli capitano a tiro. Mentre i ragazzi, cresciuti, hanno preso il posto che gli spetta per tradizione familiare nella società danese, la ragazza, Kirsten, la più violenta, è finita a fare la barbona. Non vi dirò perché. Vi dirò solo che cova un piano di vendetta verso gli altri del gruppo, che ha già parzialmente messo in atto. Adler-Olsen, quarto figlio di un medico interno di un ospedale psichiatrico, mostra una grande familiarità con i meccanismi della malattia mentale, e questo contribuisce a rendere credibile la trama e i personaggi. Benché nessun ingrediente della storia sia nuovo, è il modo con cui Adler-Olsen li combina, alternando sapientemente i registri drammatico e comico e unificando i rivoli del racconto sotto la metafora che dà il titolo al romanzo: Battuta di caccia è quella di Mørck per trovare le prove con cui incastrare i colpevoli; sono quelle cui si sono dati i sei ragazzi in gioventù e a cui i membri sopravvissuti e liberi del gruppo continuano a darsi; è quella che questi ultimi danno nei confronti di Kirsten; è quella di Kirsten nei loro confronti; è quella di Mørck e del suo povero amico Hardy, costretto paraplegico, nei confronti dei loro personali fantasmi; è quella che apre e chiude il libro, in un percorso ad anello, che sarà insieme letterale, metaforica e risolutiva in una catarsi di proporzioni singolarmente tragiche. Così come sono singolari i nomi dei due membri più feroci e assetati di sangue della gang: Kristian (Wolf) e Kirsten, ovvero Cristiano e Cristina. Singolare che siano proprio loro a dare la morte, singolare il percorso di vita e la conclusione che aspetta la seconda. Come divinità oscure e supreme, intorno a cui girano le divinità minori Ditlev (“Agnello di Dio”), Torsten (“Pietra di Thor”), Bjarne (“Orso”) e Ulrich (“Ricco e nobile”), Kristian e Kirsten decidono della vita e della morte dei comuni mortali, godendone. La stessa cosa che faranno nelle loro vite ufficiali Ditlev, Torsten e Ulrich (Bearne, l’unico che confessa il reato e finisce in galera, è anche quello che viene dalla famiglia con minori possibilità economiche), nel loro ruolo di capitani d’industria.
Alla fine, questa storia è una metafora del turbocapitalismo e dello status di intoccabilità che la nuova aristocrazia di origine borghese che domina il mondo ritiene di aver conquistato, il suo sentimento di non aver nulla in comune con gli altri esseri umani, la totale mancanza di empatia con il prossimo. Ripensateci quando leggerete del rapporto che lega Ditlev Pram e le filippine che ha assunto come adette alla lavanderia interna. Libro ottimo e appassionante, sotto tutti i punti di vista.
Articolo del
30/07/2012 -
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