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Come unici contributi italiani all’evoluzione della storia del rock & affini, di solito si citano per gli anni 70 il prog nostrano, nato su emulazione di modelli anglosassoni, ma quindi divenuto sottogenere a se stante date le proprie peculiarità, e per gli anni 80 la italo disco, capace di distinguersi dal più generale filone della eurodisco. Bene, non avevamo fatto bene i conti. Vi è un terzo contributo italiano, decisivo, alla scena mondiale: si tratta della nascita della club culture, che non sarà un genere musicale, ma un movimento culturale e sociale determinato dalla musica sì: e scusate se è poco.
Il luogo dove si è consumato il lieto evento è la riviera romagnola, a dispetto della credenza comune secondo la quale la club culture avrebbe visto la luce a Ibiza o in quel di Londra. Al contrario, sono le due altre capitali della dance ad aver inseguito i trend culturali nati in quello che negli anni 80 veniva chiamato “divertimentificio”, ovvero il territorio metropolitano (spezzato in diversi comuni, province e regioni, ma che non conosce soluzione di continuità) che va da Milano Marittima a Gabicce Mare ed ha in Rimini il suo centro. Prezioso, dunque, questo libro di Pierfrancesco Pacoda, ricco di testimonianze dei protagonisti e che si lancia in un compito che ha dell’impossibile: costruire una storia di un fenomeno quanto mai effimero, in cui i club erano capaci di cambiare volto non solo da una stagione all’altra, ma addirittura da una settimana all’altra. Pochissime le foto, quasi inesistenti i video: e perciò Pacoda deve affidarsi (ma lo fa egregiamente) alla memoria di chi c’era e promuoveva questo incessante divenire o ai flyer pubblicitari delle serate. La preistoria è la creazione, nel lontano 1974, della Baia degli Angeli a Gabicce Mare, il locale che introdusse in Italia il concetto di moderna discoteca, anticipando, con il suo gusto per l’eccesso, quello che avrebbero fatto nel 1977, anno della loro fondazione, locali come lo Studio 54 e il Paradise Garage a New York, pur senza filiazione diretta. Fu alla Baia degli Angeli che nacque (e questo è dato già acquisito) il genere “afro” ad opera di Daniele Baldelli e Moz-Art. furono i locali che vennero dopo, da quelli rock, anzi new wave, come l’Aleph e lo Slego, che a partire dal 1980 crearono un nuovo concetto di discoteca rock, ampiamente copiato poi dal Plastic di Milano, i cui creatori erano “clienti fissi” dell’Aleph (ora, si sa, viene ricordato e celebrato solo il Plastic, con servizioni su Rolling Stone, dimenticando chi è venuto prima e ha mostrato la strada: ma i milanesi, si sa altrettanto, copiano e poi si attribuiscono il merito delle novità). Incredbile come l’uomo dietro allo Slego, Pier Luigi Pierucci, sia anche quello che con il Rockhudson’s inventò il concetto della discoteca commerciale, e poi, con il Cellophane, affrontò il problema dell’invasione dell’ecstasy in modo inedito e non ottuso. Altrove, al Lady Godiva, al Cocoricò, al Morphine (ricavato dentro all’appena citato Cocoricò), all’Insomnia, al Lilì Marlene, si muovono a fianco di orde di adolescenti desiderosi di ballare e stordirsi compagnie teatrali, personaggi in maschera come il Principe Maurice che finiscono per fare da consiglieri spirituali a ragazzi in cerca di se stessi, si aprono oasi di musica rilassante (è qui che nasce il chill-out) o spazi in cui si possono trovare Manlio Sgalambro che legge testi filosofici a teenager sbalorditi e ne discute con loro, Roberto Cacciapaglia che suona il pianoforte a gran coda, Roger Eno, Aphex Twin e Mix Master Morris che jammano voce e piano, Enrico Grezzi che proietta rarissimi film d’avanguardia, Arto Lidsay e Hector Zazou. È invece al Byblos che, il 27 agosto 1989, si ha l’ardire di organizzare la presentazione mondiale di Slave To The Rhythm di Grace Jones, presente ovviamente essa stessa, portando di botto la riviera all’attenzione dei media mondiali e facendone una meta dei voli notturni del jet set internazionale più intellettuale. È sempre nelle sale del Byblos che si possono trovare frequentatori come Umberto Eco, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Bernardo Bertolucci, Jean Paul Gaultier, Roberto D’Agostino. La cultura new age penetra e si fonde con il clima della discoteca, qui, sulla riviera. Ed è qui che si inventano gli afterhours (non la band, dài che avete capito), qui che le feste cambiano il volto ai locali, come quella della neve in estate o l’altra con ala discoteca completamente invasa dall’acqua fino al petto dei clienti, qui che si inventa la trovata di chiamare ospiti famosi che però non vengono annunciati al pubblico, ma si mescolano ad esso e chi li riconosce, li riconosce, altrimenti amen.
Un fermento impressionante, di cui però, se non si frequentava il giro delle discoteche, all’epoca non si aveva notizia: che io mi ricordi, quello che passava sui media era l’immagine delle discoteche romagnole come luogo di decerebrati drogati. Il mondo invece copiava la nascente club culture. Viva l’Italia.
Articolo del
21/09/2012 -
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